"Non ringrazio i politici e chi canta per loro".

E' questa frase, che chiude i credits de "La coscienza di Zero", a certificare l'anomalia di Renato Zero, a garantirgli uno status di alterità rispetto alla quasi totalità dei cantautori italiani. Nessuna festa dell'Unità, nessuna festa del Garofano né dell'Amicizia, nessuna kermesse della Vela, dell'Udeur, di Pontida, del primo maggio, di Liberazione: a dispetto di quanto afferma in un suo celebre cavallo di battaglia, Renato Zero non si è mai venduto, né alla politica (anche se ultimamente la sua amicizia con Veltroni pone qualche dubbio al riguardo), né agli spot televisivi (non farà mai la triste fine di un Vasco Rossi), né alla spazzatura di Mtv e dei grandi network radiofonici (che infatti non lo trasmettono neanche per sbaglio).

Rispetto: è questo che mi ispira l'ex borgataro della Montagnola, indipendentemente dalla valenza artistica della sua produzione (che pure nel periodo 1973-1977 è stata eccelsa, se paragonata alla media dell'Italietta in musica). Oggi che pubblica dischi a raffica, la maggior parte dei quali superflui (ma non per la massa, che ogni volta lo premia portandolo ai vertici delle classifiche di vendita annuali), Zero è il fantasma di ciò che avrebbe potuto essere, se solo non si fosse calato nel ruolo di santone melodico, dispensatore di consigli e consolazioni, nel quale sguazza che è un piacere.

Purtuttavia qualche scheggia di talento riesce ancora a metterla in luce, con una o due perle nascoste in ogni disco, anche recente, e con spettacoli che, depurati dalle scene di isteria di un pubblico che va dai tre ai centoventi anni, risultano sempre gradevoli, divertenti, a tratti emozionanti. Certo, per apprezzare la sua splendida voce, perché su quella non si discute, lo si dovrebbe ascoltare in teatro piuttosto che negli stadi o nei palasport. Ma per lui sarebbe una scelta poco lucrativa; così, via libera agli show kolossal, con i ballerini e i fuochi d'artificio.

A proposito di brani nascosti, nel 1991 Renato pubblicava questa Coscienza di Zero (bel titolo), una sorta di antologia di inediti ripescati fra gli scarti degli album del periodo 1977-1989, con l'aggiunta de "L'aquilone Piero", scritto nel 1990 in memoria del cantautore livornese Piero Ciampi. Il testo è delicato e coinvolgente: ("Paura di incontrarti, di ascoltarti, di capirti/di somigliarti e d'istinto poi seguirti/nel più profondo dei perché nel gran deserto che ora c'è/nel dubbio che si ritorni alla finzione./ Sincero fino in fondo da non essere creduto/così vero da non essere piaciuto/quando il disordine è una compagnia/la solitudine una malattia/quando vivere è tutta una canzone"); l'interpretazione è minimalista come l'arrangiamento, sicché questo pezzo pressoché sconosciuto risulta uno dei migliori della sua carriera (se poi lo si paragona a brani-spazzatura come "I migliori anni della nostra vita" o "La vita è un dono", assurge addirittura al rango di capolavoro).

L'album è, inevitabilmente viste le diverse date di composizione e incisione, disomogeneo. E in questo, paradossalmente, è perfettamente coerente con il suo autore, che dell'alternanza di belle invenzioni e schifo totale ha fatto il suo marchio di fabbrica. Disturba la voglia di smussare i toni, di edulcorare i brani originali tanto nel testo quanto nell'interpretazione: "Psicomania", "L'assassino", "Nafta", "Civiltà", "Tiratura Tiritera", scarti di Zerofobia, Zerolandia, Erosero e Artide Antartide, sono stati interamente ricantati e in parte riscritti: così facendo risulta un po' sbiadito il fascino poetico-stradarolo-trash che li caratterizzava nella prima versione (in rete circolano i provini originali e/o le esecuzioni live).

Altri non sono stati toccati, fra questi una riuscita cover dei Rokes ("E' la pioggia che va") e un curioso medley della sua "No! Mamma, no!" e di "Mamma" di Cherubini-Bixio. Del 1983 è "Al cinema", dove fra doppi sensi alla Alvaro Vitali viene narrata la cronaca di un pomeriggio in un cinema a luci rosse, mentre appartiene al 1982 "Buon Compleanno", cantata in prima battuta dal solo Claudio Villa, al quale Renato sovrappone qui la sua voce in un bizzarro duetto postumo. L'album, (oggi irreperibile, come tutti quelli del periodo 1980/1993, a causa di un annoso contenzioso sui diritti tra l'artista e la Bmg), si chiude, dopo l'inevitabile sermone recitato non da Renato Zero, ma dalla sua coscienza (che nei fatti si trasforma in una apologia di Renato Zero), con "Più insieme", appello a seguire la via del cuore invece che la voce dell'indifferenza. Prima della chiosa finale, "Non ringrazio i politici e chi canta per loro", che gli vale una o due stelle in più.

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