Che differenza passa tra Renato Zero e il resto dei cantanti italiani ? È molto semplice: tutta la musica italiana fa cagare, compresa quella di Renato Zero, ma almeno Renato Zero ha una bella voce.
Non sfugge alla regola "La curva dell'angelo", uscito alla fine del 2001 che regala al profeta della Montagnola l'ennesimo numero uno in classifica. Per realizzare la nuova fatica di una carriera iniziata nel preistorico 1964 con i primi spettacoli live (le prime incisioni arriveranno l'anno successivo, il singolo d'esordio nel 1967), Renatone chiama a raccolta una task force con i controcoglioni, manco fosse Rumsfeld che va ad invadere l'Iraq: Celso Valli, Goeff Westley, Fio Zanotti, Ennio Morricone. I testi sono concentrati di luoghi comuni e ovvietà assortite, ma, ed è questo che fa di Zero l'unico vero ARTISTA nel deprimente panorama musicale peninsulare, cantati da lui si trasformano in piccoli capolavori della canzone d'autore pop.
Zero è il fine dicitore, colui che declama enfatico o sussurra dolente, la dimostrazione vivente che non conta QUELLO che si dice, ma COME lo si dice. E come lui, nessuno è bravo a dire stronzate e ad essere applaudito. Fra l'altro il sorcione è privo della spocchia di tanti suoi colleghi, convinti di essere Cristo in terra da giornalisti sturacessi come Fegiz o Castaldo. No, Renato non è convinto di essere Cristo: sa di esserlo. La differenza è sostanziale. L'album è plumbeo e grigio, dominato dal tema della morte, da un pessimismo assoluto che nemmeno l'angelo del titolo riesce a riscattare. Si parte con "Svegliatevi poeti", dove si constata che il mondo così com'è è una vera chiavica perchè non c'è più la poesia. Riuscirà Renato a salvare il pianeta Terra ? Sembra proprio di no, perchè nel brano successivo il nostro eroe denuncia un complotto ai suoi danni: la sua stessa esistenza è in pericolo, come si evince già dall'inquietante titolo, "Qualcuno mi ha ucciso". La terza traccia, "Il Maestro", è la dimostrazione dimostrata dell'assioma che fonda tutta questa recensione: Renato Zero è un GENIO. Riesce infatti a mettere in riga una melodia scritta coi piedi da Maurizio Fabrizio con una voce da brividi. Anche il testo, scritto come da tradizione di suo pugno, non è niente male: il passaggio di consegne tra maestro e discepolo è descritto con insolita sobrietà. Bello e coinvolgente.
Con "Storie da dimenticare" si torna a un tema classico della produzione zerica: i figli adolescenti sono degli adorabili tesorucci, i genitori sono dei grandissimi stronzi. Dopo questa tirata vagamente commercial-pseudorockettara (l'intro ricorda quella cagata di "Two Princes" degli Spin Doctors), il viaggio nelle disgrazie umane prosegue con "La medicina", una canzone che denuncia il dramma della depressione, arrangiata in maniera a dir poco discutibile: si parte con una suggestiva base d'archi, e proprio prima del ritornello fanno il loro ingresso le nacchere spagnole. Olè! Dopo la dimenticabile "Nuda proprietà" (un quarantenne che non vuole saperne di andare a vivere da solo) arriva un altro bel pezzo, "Libera", ovviamente tragico anche questo (un amore che sfocia in omicidio), sostenuto dalla voce brunita di Renatone che stavolta, però, spinge un po' troppo sull'enfasi. "Fuori gioco" viaggia sulla cassa in quattro e se la prende con la violenza negli stadi. Qui Renato mette a segno un fantastico goal fuori casa con una frase da applausi dedicata a quei minus habens dei tifosi di calcio: "Vivi soltanto la domenica/tu non mi sembri normale". Da sottoscrivere in pieno.
Le tragedie non sono ancora finite: prima ci si imbatte in un amore reso impossibile dalla differenza di età ("Innocente"), poi Renato ricorda in modo toccante, a vent'anni di distanza, la morte del padre in "Anima grande" (da notare che il disco è stato realizzato durante gli ultimi mesi di vita della madre e questo spiega l'atmosfera disperata che si respira ad ogni brano). Ci avviamo alla conclusione: con "Un nemico sincero" il Re Sorcio confessa di essere attorniato da amici fasulli, tanto vale mettersi alla ricerca di un nemico leale. "Non cancellate il mio mondo" è un grido nel deserto: ci avviamo alla fine del mondo e nessuno potrà salvarci. Il crescendo rossiniano di pessimismo culmina nella traccia conclusiva, prodotta da Morricone: è "Pura Luce", esaltazione della morte come unico barlume di speranza in un mondo dominato da forze oscure e cattive. Meno male che c'è Renato a rischiarare il buio dei nostri giorni: per quanto mi riguarda, con la voce fenomenale che si ritrova, lo ascolterei anche se leggesse le notizie del Tg4. Applausi.
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