1984. Renato Zero comincia a lavorare al suo nuovo album. E' reduce da una lunga serie di successi, e tutto lascia prevedere che così sarà anche stavolta... eppure... Renato ha captato che qualcosa sta cambiando nell'atteggiamento del pubblico come dei media... non ha dati tangibili sui quali basare questa sua impressione; si affida, come poi dimostrerà l'album, all'intuito, all'istinto. E' deluso dalla chiusura del tendone, forse un po' stanco dopo tanti anni vissuti in prima pagina. E' la musica che sta cambiando, la stessa Italia. Gli anni di plastica, quelli della Milano da bere, lo trovano di colpo impreparato, spazziato, fuori posto e fuori tempo.
"Leoni si nasce" è uno degli album più autobiografici di Renato, un disco in cui mette a nudo le sue paure, i suoi sospetti, la sua rabbia. Un lavoro tormentato, pieno zeppo di ripensamenti (personalmente ho ascoltato tre versioni differenti di "Frenesia", "Il leone", "Il prezzo" e nulla esclude che la stessa incertezza abbia caratterizzato l'incisione degli altri brani).
Renato si sente a disagio, braccato, assediato. E, come ogi belva ferita (perchè lui quando ci si mette è una belva) che fiuta il pericolo risponde sfoderando gli artigli.
Si presenta allo zoo di Roma con un abito felino scortato da simil-aborigeni: decide di rispondere all'assedio caricando ancor di più sul travestimento, fino a trasformare la sua maschera in una parodia. E poi il disco, nel quale tutti i suoi cattivi pensieri trovano posto: il mondo pieno di gente falsa e ipocrita ("Da uomo a uomo"), come un set, come finzione ("Si gira"), l'incapacità di accettarsi/essere accettato per come è ("Per non essere così"), i falsi amici che tramano alle spalle ("Sospetto"), ancora l'assedio e l'autodifesa ("Pelle"), la difficoltà nell'uniformarsi ai ritmi assurdi della società ("Frenesia"), ancora il disagio per il presente con una vaga speranza per il futuro ("Oscuro futuro"); poi ruggisce cercando di esorcizzare i nemici ("Il leone"), ancora le denuncia per quel mondo nel quale non si ritrova ("Il prezzo"), fino al rimpianto finale ("Giorni"), nella quale sembra quasi prendere congedo dal suo pubblico, preconizzando in maniera inquietanteil voltafaccia che molti suo fan gli riserveranno e che durerà fino a "Voyeur".
E' un Renato kitsch, esagerato, un Renato kolossal, nelle foto, nell'introduzione e nel finale, nei costi di produzione altissimi per l'epoca. Un Renato consapevole del fatto che la favola sta per finire, ma che tuttavia non si arrende passivamente a questo destino che lo vuole riportare nell'anonimato. No, Renato urla forte la sua rabbia, in una sfida aperta, senza paura, forse scomposta, ma sicuramente sincera a chi lo vorrebbe ingabbiare nel suo passato glorioso, per farne il monumento di sè stesso.
Le vendite gli daranno torto, ma, a riascoltare oggi quel grido da belva ferita, non si può non applaudire Renato per il suo coraggio. Anche perchè lui è ancora qua. Ancora in gara. Ancora forte. Ancora in piedi.
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