Ho visto Renato Zero in estate, quando si è esibito allo stadio con il suo tour MpZero. Un concerto di rara pacchianeria, che ha comunque avuto il merito di accendermi di curiosità. Ho raccolto tutto lo scibile umano in fatto di informazioni sui suoi primi anni di carriera. Credo che "Trapezio" meriti un posto di rilievo nella galleria della musica italiana. Ecco la storia.
Nel 1976 Renato Zero si trova con le spalle al muro. La Rca, delusa per le scarse vendite dei due precedenti album, "No! Mamma, no!" e "Invenzioni", gli aveva infatti dato un ultimatum: se il prossimo non va bene, il contratto è rescisso.
Renato era sul marciapiede della musica già dal 1967, da quando cioè Gianni Boncompagni produsse il suo primo singolo "Non basta sai/In mezzo ai guai" (per inciso, un flop clamoroso). Nonostante avesse preso parte a produzioni di livello, come la versione italiana di Hair e l'opera rock Orfeo 9, Renato continuava a rimanere un personaggio di nicchia. "Trapezio" poco aggiunsero alla sua popolarità. A riascoltarli oggi si ha la sensazione di un what if, ossia di cosa sarebbe stata la carriera di "Trapezio" corredato di testi profondi e tematiche shock che spaziavano dalla pedofilia alla malattia terminale, dall'aborto alla depressione. Ma tant'è, nel 1976 avviene il cambio di rotta.
Ora, mettetevi nei panni di un ragazzo cresciuto in borgata che per 26 anni ha fatto la fame (o quasi): la scelta è se proseguire col glam rock (immagine) e rock cantautoriale (contenuto) rischiando di rimanere ai margini del successo, oppure se scendere a compromessi e dare una virata melodica al proprio repertorio. Renato scelse, dietro pesanti pressioni della stessa Rca, la seconda opzione.
Per coadiuvarlo in una scrittura più tradizionale vengono arruolati Franca Evangelisti per i testi e Piero Pintucci per le musiche. Nel progetto è addirittura coinvolto Mogol. In realtà, come spesso avveniva e ancora avviene, il nome celebre era solo un escamotage per tirare su l'interesse del pubblico. Il cantante trasgressivo che incontra il paroliere di Battisti era di certo uno slogan pubblicitario che incuriosiva, ma, nonostante risulti come co-autore di due brani, Mogol per Renato non scrisse neanche una riga (opportunamente lo stesso Mogol, in tutta la sua carriera, si è guardato bene di accennare alla sua "collaborazione" con Zero). Per rendere ancora più appetibile Trapezio vengono inseriti "No! Mamma, no!", "Metro" e "Inventi", che erano i tre brani più conosciuti dei due dischi precedenti.
La prima parte dell'album scorre sui binari graffianti del "vecchio" Zero. Si apre con "Il caos", incisiva descrizione di un amore disfatto, cui seguono i tre estratti di "No mamma no" e "Invenzioni". A seguire c'è una delle canzoni più belle di tutto il repertorio zerico, "Una sedia a ruote" che descrive in maniera diretta e toccante i tormenti di un disabile condannato all'immobilità non solo fisica, ma anche dei sentimenti. Con "Una sedia a ruote" si esaurisce il lato rock di "Trapezio" e si entra nella melodia tradizionale, nel pop e nella disco che da allora ne caratterizzerà, nel bene e nel male, la carriera.
Il primo esperimento di canzone scritta in trio con la Evangelisti e Pintucci è "Motel", un classico pezzo d'amore perfettamente riuscito nella sua semplicità, reso ancor più coinvolgente dalle note di piano in crescendo prima dell'inciso. "Scegli adesso oppure mai" e "Un uomo da bruciare" sono i due brani firmati anche da Mogol: il secondo, in particolare, verrà ripreso più volte dal vivo, spesso stravolto nell'arrangiamento (come avverrà nel live "Icaro").
Dopo l'interlocutoria "Hanno arrestato Paperino", arrivano due pezzi da novanta del repertorio zerico. Con "Madame" Renato si avvicina per la prima volta al mondo delle discoteche (dove il brano ebbe una buona circolazione) e conquista il grande pubblico, anche in virtù di alcune apparizioni televisive alquanto scioccanti per i telespettatori dell'epoca. Più che un classico, un superclassico della sua discografia. L'album si conclude con la meravigliosa "Salvami!", nella quale Renato, prima con un sussurro, poi gridando, descrive, attraverso gli occhi di una prostituta, la disperazione per la sua condizione di "diverso", di "borderline", di "alienato", che non trova risposta. "Dici bene questo è il posto mio, non l'ho deciso io. Quando questa strada ha scelto me, chissà dov'era Dio. ". E' la ciliegina sulla torta di un disco che merita le 5 stelle.
Rimane, dentro di me, la domanda su cosa sarebbe stato Renato Zero se si fosse tenuto più vicino al rock cantautoriale, evitando la deriva nazionalpopolare dei tempi recenti. In ogni caso, basta un Renato Zero per fare cento Vasco Rossi.
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