C'era anche Marco Travaglio, a fine novembre, per il secondo concerto di Renato Zero al PalaOlimpico di Torino. La sua presenza non deve stupire: fra tanti pseudointellettuali che che considerano Zero poco più che un dettaglio nella storia della musica e dello spettacolo italiano, Travaglio sembra essere uno dei pochi ad aver afferrato la filosofia e l'arte dell'ex ragazzo della Montagnola.

Ha detto Marco: "Adoro Renato Zero. Lo adoro perché non piace ai critici, il che potrebbe già bastare. Ma lo adoro soprattutto perché le sue canzoni rimangono in testa e si lasciano cantare e fischiettare per anni, per decenni. Lo adoro perché tiene alla melodia e alla fantasia, alla tradizione italiana. Perché fa musica, non rumori. Perché non s' è arreso alla dittatura del rap e del funky. Lo adoro perché canta da più di trent' anni e non ha ancora stufato. Lo adoro perché chi dura trent' anni non può essere un bluff. Lo adoro perché, ai suoi concerti, s' incontra un po' di tuttoi: sessantenni, quindicenni, canaglie malfamate e signore perbene. Perché ha saputo rinnovarsi senza rinnegarsi, passando dal trucco pesante degli anni 70, tipo "Kiss" de noantri, al look sempre trash ma più posato degli ultimi anni. Perché è autoironico e non si prende troppo sul serio. Perché è un grande animale da palcoscenico, un interprete vero, un istrione completo che la canzone la vive e la fa vivere con tutto il corpo. Lo adoro perché è molto più intelligente di quel che sembra e che dicono. Perché scrive ottimi testi senza tirarsela da "impegnato", e non l' ha mai buttata in politica".

Dopo questa doverosa, e per molti lettori sorprendente, introduzione, passiamo alla descrizione del concerto, parte di un tour, lo Zeronove, che dalle 12 tappe previste inizialmente è lievitato fino a 30, sulla scia del boom di vendite di "Presente". Alle 21 in punto si spengono le luci mentre il palco, molto semplice ed essenziale, dominato da tre grandi ventagli bianchi aperti, si illumina. Sui ventagli scorrono le immagini di tutti i vecchi costumi di Renato, dopodichè scorrono vorticosamente tutte le copertine dei 60 o forse più album e raccolte pubblicati in nella sua lunghissima carriera. Di colpo il palco si oscura e partono le note di... "Vivo"!!!!! Renato entra in scena tuto in nero, con un lungo spolverino e una bombetta, e gli ormai immancabili occhiali tondi. Di persona sembra meno appesantito di come appare in tv.

Subito dopo si passa a "Ancora qui", il brano che ha trascinato al grande successo l'album Presente, con Renato che si scatena in qualche passo di danza mandando in visibilio la platea. Segue "Questi amori", altro brano nuovo, ma molto meno convincente del precedente. Lunga coda strumentale prima del ritorno in scena: i ventagli si chiudono e svelano i musicisti, mentre partono le note di "Emergenza noia" con Renato adesso in giacca e bombetta bianca e pantaloni neri. E' quindi la volta della romantica "Mentre aspetto che ritorni", al termine della quale parte il primo dei tanti discorsi che intervalleranno le varie canzoni. Da luminoso il palco si fa cupo e tetro, mentre sul fondale bianco, dietro ai musicisti, vengono proiettati i volti sofferenti di tanti bambini: è il capolavoro "Qualcuno mi renda l'anima", anno 1974, che provoca più di un brivido negli spettatori.

Dopodiché la tensione viene spezzata da "L'incontro", sempre tratta da Presente. Alla fine le canzoni tratte dal nuovo cd saranno ben 12, con l'aggiunta di un inedito: nonostante sia un buon disco, 12 brani sono un'enormità. Fortunatamente ci si rituffa nella poesia assoluta con "Inventi". Il momento magico prosegue: un'immagine di Cristo in decomposizione introduce "Potrebbe essere Dio", altro pezzo da incorniciare. A questo punto nuovo colpo di scena: il fondale bianco si alza e svela un'orchestra, di 26 elementi tra archi e fiati. Renato torna in scena tutto in bianco, pantaloni compresi, e attacca "Non smetterei più"; dopo la prima strofa si aggiunge Mario Biondi, vestito come Renato, ma tutto in nero. Un bel momento. Poi Mario canta "This Is What You Are", molto apprezzata dal pubblico. Un altro discorso di Renato sui suoi esordi introduce un altro brano d'annata, "Salvami", rovinato dall'inserimento di una nuova strofa che non c'entra nulla con il testo originale.

Da qui partono le dolenti note: Renato si ripresenta sul palco stavolta in turchese e canta in sequenza quattro brani tratti da Presente: "L'ormonauta", "Almeno una parola", "Ambulante" e "Quando parlerò di te". L'effetto di quest'ultima, una delicata e riuscita canzone d'amore, è purtroppo annaccquato dalla stanchezza, e anche dalla noia, provocata dai tre brani precedenti. Fortunatamente lo spettacolo riprende quota con quello che si rivelerà, non c'erano dubbi al riguardo, il momento più applaudito della serata: "Morire qui", dall'album Zerofobia, in una versioen decisamente rock con Renato che folleggia sul palco, abbbigliato tutto di rosso. Segue la nuova "Un altra gioventù" (bella) e poi un'altra perla, "Figaro", dall'album Amore dopo Amore del 1998. Ci si aspetta, tra vari discorsi puntati sul sociale, con l'aggiunta di una buona dose di insulti a Brunetta e Bondi, che a questo punto, avviandosi al finale, il concerto prosegua con alcuni cavalli di battaglia. E invece niente da fare.

Renato rientra in scena con sombrero e poncho messicano per riproporre la vecchissima "113" che nessuno conosce (e a dire il vero non è che si fossero persi granché). Le nuove "Muoviti" e "Professore" non contribuiscono a risollevare la situazione, mentre "Felici e perdenti", per quanto ritmata, non entusiasma. L'atmosera si fa ieratica e solenne per "Il sole che non vedi", probabilmente il brano migliore di Presente, con Renato in tunica argentea. E' il momento dei bis: Zero, uscito da centro palco, rientra in scena da una botola che lo catapulta in un cono di luce: abbigliato come un esploratore artico, tutto in bianco, con tanto di casco, intona "Buon Natale", altro brano d'annata poco conosciuto, ma molto significativo nel testo. Sulle ultime strofe scendono dall'alto dei fiocchi di neve, rendendo il tutto ancor più suggestivo. Renato esce per riapparire con una giacca nera luminescente e cantare la mediocre "I migliori anni della nostra vita". Chiamato a gran voce dal pubblico, torna con l'inedito "Gli unici", dedicato ai sorcini o zerofolli, e innaffiando di spumante gli spettatori delle transenne. Alla fine ci si aspetta che canti "Il cielo", e invece finisce tutto così.

Che dire? La gente non è uscita delusa, ma di certo se ne è andata sconcertata per una scaletta incomprensibile. Impossibile dare un voto, opto per l'astensione (la mancanza di stellette sta per "non giudicabile"). Renato si conferma comunque un cantautore di razza, tiene il palco con un'autorità e impressionante e ha una voce davvero ma davvero bella, mantenutasi su livelli eccelsi per tutta la durata dello spettacolo, iniziato alle 21 in punto e terminato a mezzanotte precisa. Speriamo che al prossimo giro di concerti, pare che riprendano ad aprile, Renato decida di recuperare qualche brano "storico": in fondo, tra il suo repertorio anni '70 e primi anni '80, di grandi canzoni ce ne sono in abbondanza.

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