René Aubry è un adorabile menestrello dei nostri tempi. Le sue composizioni sono “canzoni senza parole”, piccoli affreschi sonori dipinti con arpeggi e pizzicate di chitarra acustica e qualche pennellata di strumento a fiato. Il chitarrista francese sa miscelare colori e sfumature musicali provenienti da ogni parte del mondo, creando un melting pot multiforme e vivace. Dalla Francia alla Spagna, fino all’Italia dove ha conosciuto la ballerina Carolyn Carlson, diventando il suo alter ego musicale. Grazie a questo connubio artistico Aubry ha sviluppato una musicalità visiva e corporea, assolutamente innovativa ed originale: note e accordi da immaginare come una coreografia.
“Invites Sur La Terre” è di sicuro la punta di diamante della sua prolifica discografia. Pubblicato nel 2001, è un riassunto dei lavori per chitarra solista, riarrangiati e arricchiti da un prezioso gruppo acustico. L’album è un volo pindarico destabilizzante e terapeutico. Un distacco dalla noia quotidiana, per tuffarsi in una dimensione onirica senza tempo e senza spazio. L’ascolto ha un effetto istantaneo, coinvolgente ed ipnotizzante. Nessuna pausa, nessun momento morto, ogni singola nota è curata con scrupolosità e l’effetto sonoro complessivo diviene estraniante. Ci sono esplosioni di gioia impetuosa come in “Soleis” e “Brimades Legere”, ottenute grazie ad arpeggi dinamici e vivaci. Ma anche situazioni più intime e raccolte come “Matera” e “Solitaire”. Non mancano momenti ironici e giocosi come “Pauvre Juliette!” e “Settebello” il cui arpeggio mi ricorda, curiosamente, l’intro di “In Particular” dei Blonde Redhead (perdonate l’accostamento azzardato…).
“Invites Sur La Terre” è un progetto discografico fresco e vivace, una combinazione di sonorità ricercate che ricordano lo stile della Penguin Café Orchestra e le colonne sonore di Ennio Morricone e Nino Rota. Nonostante l’avversione per le luci della ribalta, monsiuer Aubry è stato eletto da critici e media come uno dei compositori più originali e interessanti dell’avanguardia contemporanea, raccogliendo l’hérédité dei colleghi conterranei Yann Tiersen e Pascal Comelade.
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