Dieci piccoli indiani, il libro, non ha certo bisogno di presentazioni. Organizzato secondo una struttura narrativa di raffinata crudeltà, dove l'inesorabile scorrere degli omicidi è scandito dai versi di una filastrocca ormai proverbiale ("Dieci poveri negretti se ne andarono a mangiar..."), il più angoscioso giallo di Agatha Christie è anche il suo romanzo più celebre e più imitato.

Delle tante versioni cinematografiche (tre ufficiali, più svariati omaggi "indiretti", come il recente Identità di James Mangold) la più degna di nota è la prima, realizzata ad Hollywood nel 1945 niente meno che da uno dei padri nobili del cinema francese, René Clair, l'autore di Entr'acte (1924), di Un cappello di paglia di Firenze (1927), de Il milione (1931), di A me la libertà (1931) e di altri film memorabili girati in patria prima del (forzato) esilio in Inghilterra e in USA.

La trasposizione di Clair è un divertissement di alta classe, girato con l'impeccabile levigatezza delle vecchie produzioni hollywoodiane e arricchito con tutti i guizzi che ci si aspettano da un maestro del cinema. La sceneggiatura dell'ottimo Dudley Nichols segue piuttosto fedelmente la trama originale, operando però una clamorosa variazione di finale, ispirata alla commedia teatrale scritta dalla stessa Christie: laddove nel romanzo i dieci personaggi muoiono tutti e l'identità del misterioso assassino viene svelata da una lettera recapitata alla polizia - una soluzione che per ovvi motivi non si sarebbe potuta adottare al cinema o a teatro - nel film i personaggi di Philip Lombard e Vera Claythorne si salvano e affrontano l'omicida, che prima di morire ha l'occasione di confessare.

Benché inserito con qualche forzatura, il "lieto fine" è in linea con il tono complessivo del film, più incline al giallorosa che al thriller, ricco di ironia e humour nero, volutamente distante dalle atmosfere fosche e dell'ambiguità morale del libro (dove tutti i personaggi hanno alle spalle un turpe passato da nascondere e, coerentemente con il giustizialismo puritano della Christie, pagano con la morte). E' notevole come molti episodi del romanzo, in origine non certo rassicuranti, siano stati trasposti sì alla lettera, ma in chiave ribaltata e umoristica: le reiterate accuse al maggiordomo Rogers, gli episodi di alcolismo del dottor Armstrong e, su tutti, il divertente incipit, completamente muto, con i dieci personaggi seduti sulla barca diretta all'isola che si scrutano a vicenda in preda alla diffidenza e al mal di mare.

All'inventiva regia di René Clair va l'indubbio merito di non essersi limitata ad una mera illustrazione del soggetto di partenza, ma di aver scelto soluzioni creative, non banali, autenticamente cinematografiche (si veda la scena in cui quattro personaggi si spiano a vicenda, con la telecamera che indietreggia e... passa attraverso il buco della serratura). Parimenti brillante è stata l'idea di trasformare la filastrocca dei dieci negretti in una canzoncina orecchiabile, suonata o fischiata ogni volta che viene commesso un omicidio.

L'ottima prestazione degli attori - tutti caratteristi non troppo noti, fra i quali unica vedette è il grande Walter Huston nel ruolo del dottor Armstrong - contribuisce al buon risultato finale e fa di questo film un piccolo classico del genere: che perde, ovviamente, gran parte della sua efficacia se si è letto il libro e si sa già chi è l'assassino.

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