Una donna tenta di fuggire, tenendo in braccio il proprio bimbo, da qualcosa di enorme: ne vediamo una mano, blu, che la tormenta, la insegue e la afferra. Nel giro di pochi minuti capiamo tutto: siamo su un pianeta alieno, abitato da enormi esseri blu chiamati Draag che utilizzano gli umani come se fossero degli animali domestici e la sequenza iniziale altro non è che il ritratto di come questi esseri giocano con noi esseri umani. Il resto del film è la storia di Terr, un Om (così gli esseri umani vengono chiamati dai Draag), che riesce ad apprendere le conoscenze degli esseri blu, per mezzo di un apparecchio che essi usano per imparare nozioni che non dimenticheranno mai, e che guiderà la rivolta degli Om. L'idea di fondo del film è da ricercarsi all'interno dell'antispecismo: l'essere umano, a differenza di ciò che pensa di sé stesso, è un essere infinitamente piccolo all'interno dell'universo.
Dalla collaborazione tra Roland Topor, il quale, oltre ad aver sceneggiato questo film, ha scritto anche il romanzo Le Locataire (che diventerà poi uno dei più grandi capolavori di Roman Polanski, L'inquilino del terzo piano), e René Laloux, nel 1973 esce uno dei film d'animazione più disturbanti di sempre, Il pianeta selvaggio. La sua breve durata, meno di 70 minuti, scorre molto lentamente e la narrazione potrebbe essere assai ostica ma, se si riesce ad entrare nel mood della pellicola e ad accettare lo stile molto particolare dell'animazione e dei disegni, diventa estremamente piacevole ed angosciante. I disegni sono molto semplici e l'animazione è spesso poco fluida (siamo ben lontani dallo stile della Disney o del futuro Studio Ghibli) ma ciò stimola l'occhio dello spettatore disturbandolo ed incrementando l'angoscia. Si tratta di un'animazione bidimensionale e che predilige la staticità al dinamismo e, dunque, anche la regia è altrettanto semplice: la camera non penetra mai lo spazio, è sempre distante. Spesso la "macchina da presa" è immobile e i pochi movimenti si limitano a qualche carrellata laterale o a qualche zoom. La messa in scena, dunque, è quasi teatrale e straniante.
Estremamente valida è la colonna sonora del jazzista Alain Goraguer, che ha composto delle musiche che fondono il rock progressivo e psichedelico e il free jazz che incremementano l'atmosfera allucinata che pervade l'intera durata del film.
Spero vogliate perdonare la breve e non troppo approfondita recensione di quest'opera ma, a mio avviso, è l'unico modo possibile per recensirla: andare troppo a fondo significherebbe rovinarvi la visione.
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