Tanta è la stima che nutro per un artista come Antonio Bartoccetti (leggendario leader di Jacula ed Antonius Rex) che diventa per il sottoscritto un atto dovuto degnare almeno di un ascolto la musica del figlio, noto negli ambienti techno-trance (???) con il monicker Rexanthony.
Composer Arranger Producer Performer: così Bartoccetti junior (classe '77) si presenta nella home del suo sito web. A metà fra dj e compositore, Rexanthony è senz'altro una figura di spessore nell'ampio panorama techno italiano degli anni novanta.
Nato come pianista (innegabile la sua preparazione tecnica e teorica), il giovane artista cederà ben presto al fascino dei sintetizzatori e dei computer. Il suo esordio coinciderà con l'hit "Gas Mask" (del 1991) e da lì in poi la carriera del Nostro diverrà un continuo proliferare di pubblicazioni spazianti dalla techno-rave alla trance, alla jungle, all'industrial, fino all'experimental music tout court.
"Memorabylia", umilmente sottotitolata "The Sound of the Gods - The Rhythm of the Heroes" (non che il padre fosse il re dei modesti!), raccoglie brani composti fra il 1992 e il 2008 ed offre un'esauriente panoramica della feconda carriera del giovane musicista.
Evidente, per l'intera durata della raccolta (due ore abbondanti), l'influenza di Bartoccetti senior, influenza che si palesa nell'amore dichiarato per i compositori classici, nel gusto barocco degli arrangiamenti, nel dinamismo dei pezzi (vagamente ereditato dalla tradizione progressive di cui il padre è stato degno rappresentante), nelle inquiete atmosfere gothic/horror che ben si amalgamano con il pulsare danzereccio di questi 24 brani.
Paradigmatica l'iniziale "Futurshock", che nel suo incipit ci ricorda da vicino l'arte degli Antonius Rex: sibila il vento ed il ruggito mefistofelico di un vocione effettato che recita caustico "Welcome to the dark side of your mind" rimanda direttamente alle atmosfere di album come "Anno Demoni" e "Praeternatural". Ma i richiami all'arte del vecchio Bartoccetti si esauriscono qui, e da questo momento in poi sarà ben difficile per un fan degli Antonius Rex trovarsi a proprio agio nelle note e nelle ambientazioni offerte da questo piccolo Mozart della consolle.
Tunz tunz tunz tunz: questo, e non altro, è quello che c'è da aspettarsi da Rexanthony. Resettiamo quindi il cervello e vediamo nel dettaglio di che pasta è fatto il personaggio in questione.
Anzitutto le note dolenti: se è infatti innegabile che ci troviamo al cospetto di un artista preparato e fantasioso, nonché di un professionista serio e rigoroso (basti citare l'attenzione maniacale al dettaglio, la costruzione certosina delle stratificazioni sonore, la cura con cui sono edificati i suoni, sempre imponenti e finemente levigati), è purtroppo triste constatare come spesso cotanto impiego di energie venga ahimè messo al servizio della peggiore techno che possiamo immaginarci.
Ho molto rispetto per la musica techno in generale, ma non per quella banale e dalle forti tinte commerciali, confezionata appositamente per far muovere il culo ai manzoni cerebrolesi del sabato sera.
E proprio di quella techno si parla, quella techno prodotta in quantità industriale da quindici anni a questa parte in tutto il mondo, ad uso, consumo ed abuso di veri incompetenti della musica, truzzoni di plastica magna-paste a ripetizione, la cui unica sensibilità artistica sembra essere la preoccupazione di avere un appiglio ritmico su cui far scivolare la propria estasi chimica.
Cassa e charleston a go go, quindi, e melodie d'un pacchiano che nemmeno il peggior Fargetta oserebbe concepire (non che il padre, Bartoccetti senior intendo, fosse il re del buon gusto!). Davvero brutte immagini mi evoca questa musica: patinati interni di discoteche, squallidi corridoi, banconi lucidi, specchi opachi, bellimbusti sudati dalle bianche magliette attillate e fotonici occhiali da sole, dito al cielo, drink in mano, sorrisi ebeti e bocche smandibolanti chili di chewing-gum per meglio degustare la botta.
Ecco, quando la musica di Rexanthony scade nella sterile ripetizione degli stilemi della techno più scontata e piaciona, fra pause, rullatine, ripartenze e gingle d'un imbarazzante che nemmeno nelle discotechine della domenica pomeriggio si ardirebbe tanto, il tutto mi risulta davvero urticante e di difficile digestione.
Quando invece il Nostro decide di premere sull'acceleratore ed abbandonarsi ai traumi e alle allucinazioni di una techno senza compromessi, la storia cambia di brutto: alziamo quindi il volume, prepariamoci psicologicamente all'imminente sfratto e sbombiamoci pure il cervello con pezzi come "Infected", "Cocoacceleration", "Rapture", "Shock Up" o "Morphinespeed", ottimi saggi di "techno dell'inquietudine", dove la cassa martella così veloce e dura che non è il caso nemmeno di ballare, ma solo sedersi, scuotere la testa come degli affetti dal morbo di Parkison e subire il fragore di una techno nella sua forma più violenta e frastornante.
In questi due estremi, a mio parere, stanno i pro e i contro della musica di Rexanthony, un artista da rispettare ed al contempo da maledire per certe uscite che vien da prendere lo stereo e lanciarlo dalla finestra (vero è che certa musica non ha senso ascoltarla su cd, ma va subita dal vivo, e per questo mi ripromettere di assistere quanto prima ad una performance del Nostro per formulare un giudizio più attendibile).
La palma del pezzo kitsch va senz'altro a "Triturator Triumph", che non è altro che la riproposizione in versione techno della Marcia Trionfale di Verdi. Difficilmente (forse alla stadio) mi è capitato di ascoltare qualcosa di più pacchiano. Seguono sulla distanza "Digital Bach", "X Elisa" e "Technoshock Six", versione plastificata (e non dichiarata) della celeberrima e stra-abusata "Carmina Burana".
Particolarmente dolorosa suona ai miei orecchi, inoltre, la celebre "Capturing Matrix", pezzo che nel 1995 valse il successo planetario del giovane dj, brano che va a storpiare la monumentale "Capturing Universe", sempre degli Antonius Rex del venerato padre (ma "Capturing Matrix" non sarà l'unico scippo ai danni del repertorio del repertorio di Antonio Bartoccetti: in "Krimesquad", per esempio, troviamo il canto femminile della title-track di "Switch on Dark", ultima fatica artistica degli Antonius Rex, album che vede la presenza di Rexanthnony stesso nella veste di produttore).
Da segnalare, fra le altre cose, le storiche "For You Marlene" (targata 1992, fra i primi successoni del Nostro), "Polaris Dream" (del 1996, il cui video ha avuto l'onore di presenziare in heavy-rotation sulle frequenze di MTV) e la travolgente "The Symbol", magniloquente tributo al Cocoricò, autentico inno da impasticcati, un anthem da cantare a squarcia gola con l'anfetamina che ti schizza dentro.
Apprezzabili, invero, i tentativi (non copiosi, a dir la verità) di evadere dal seminato limitatamente techno (l'electro-lounge aperitiveggiante di "Human Decodification", il funk esagitato di "The System", l'industrial martellante di "Ecstasypills").
Cultura techno-trance, culto delle droghe, terrore ed amore per la tecnologia (vista come incubo ed al tempo stesso impiegata pedissequamente come medium espressivo): questa sembra essere in definitiva la sintesi dell'universo artistico di Rexanthony, senz'altro un professionista da rispettare, ma la cui proposta è da vagliare attentamente se si hanno seri problemi con la techno più stronza.
Buon (s)ballo.
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