Si parlava poco fa di Rhys Chatham e dei suoi primi lavori.

Il nostro durante la seconda metà degli anni '90 si è un po' fermato (dedicandosi parsimoniosamente alla tromba), complice anche un disturbo ai timpani naturalmente causato alla sovraesposizione ai watts degli amplificatori (le cento chitarre di "An Angel Move Too Fast To See" non sono mica cosa da ridere). Rhys ha vissuto a Parigi tranquillo nell'ultimo decennio con un drone personale ad accompagnarlo quotidianamente: imparando quasi ad apprezzarlo, studiando la sensazione che produceva e cercando di capire quale fosse la giusta tonalità.

Poi un giorno l'organo uditivo si rappacifica con questo maestro assoluto e poco più avanti il Comune di Parigi commissiona a Rhys un'opera per la Notte Bianca: un'opera da suonare presso la basilica del Sacro Cuore di Montmartre. Ed è allora che scocca la scintilla e l'innamoramento avviene: l'edificio trasmette al compositore un sentimento al tempo stesso sacrale e primigenio... Chatham si ricollega al suo drone (alla scomparsa di questo ed alla ritrovata libertà) e crea una musica tanto filtrante quanto estatica, immensamente catartica e strettamente correlata al suo storico punto d'origine: sarebbe impossibile immaginare altrove le quattrocento chitarre di "A Crimson Grail" e pure il numerosissimo pubblico inizialmente ignaro della pregnanza e della potenza evocatrice del rito a cui sta assistendo.

Se precedentemente si poteva parlare di scansioni hard-rock e dissonanze cacofoniche coniugate secondo i canoni minimalisti per la musica del newyorchese, ora è quasi impossibile accostare questo suo ultimo lavoro ad un genere: soltanto un impalpabile e luminescente flusso di note provenenti dalle 2400 corde suonate in perfetta sincronia.

Tre movimenti delicatissimi e celestiali costituiscono il contenuto di questo disco (cinquantasei minuti scelti su un totale di quasi dodici ore di esibizione). L'aggressività ha ormai ceduto il passo ad ammirevoli tendenze cosmiche e neppure sembrerebbero così tante le chitarre tanto è insostenibile la loro leggerezza.

La musica di Chatham poteva essere definita una sorta di tirannico tentativo di conquista della luce, un armata imponente con lo scopo di rovesciare lo status quo terrestre e divino, una sfida che si rifletteva nella mitica ribellione di Prometeo e nella fallimentare ricerca alchemica della Pietra Filosofale. Ora il trionfo è giunto: nell'impercettibile rincorrersi dell prima sezione, nella trascendente implosione della seconda e nel cupo religioso destrutturarsi della terza si nasconde l'alba di un mondo nuovo (ed i quattrocento chitarristi che officiano alla cerimonia ne sono i sacerdoti, avanguardisti involontari e disponibili: ulteriore monito a comprendere la natura collettiva di tutta la performance).

Epico e meraviglioso ascolto, impreziosito dal valore concettuale ed evocativo dell'insieme. E oltre alla bellezza della musica stupisce l'apertura mentale della gestione municipale parigina: magari eventi del genere passassero anche soltanto per l'anticamera del cervello dei "nostri" rappresentanti politici...

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