C'era una volta un tipo longilineo, con un bel taglio di capelli, faccia strafottente e una grande passione: fare dell'ottima musica col suo gruppo (se ci scappava qualche stupefacente certo non lo disdegnava).
Questo tipo figo (eletto anche nel 2000 "the most poetic songrwiter of his generation") si trovò un giorno di fronte ad una scelta: convivere con un genio della chitarra rompicoglioni e continuare a far sognare una generazione attraverso grandissimi "inni" rock-psichedelici o mandare tutto all'aria, imbracciare una chitarra acustica e iniziare tutto da capo, da solo.
La scelta effettuata fu la seconda, solo però che mentre tutti si aspettavano canzoni con una forte carica rabbia-amore-rock-psichedelia e, perché no, anche un po di pop, il nostro tipo cominciò a sfornare solo canzoni pop, orecchiabili, ma proprio tutto lì.
Dopo il primo album solista tutti dissero, "va beh un mezzo passo falso capita a tutti, e in fondo 'A Song For The Lovers' non è male"...
Ed eccoci nel 2002 in attesa dello sciamano Richard capace di trasformare notti insonni con in circolo un disagio grandioso in canzoni da antologia: niente di tutto ciò.
Human Conditions si descrive in tre righe: canzoni strimpellate con la chitarra acustica, imbevute di archi fino alla nausea, per fare addormentare chi soffre d'insonnia.
Un album che trova forse proprio in "Check The Meaning" la canzone più carina (il che la dice tutta), l'ultimo singolo estratto dall'album - "Buy In Bottles" - non lo nomina nessuno, anzi nessuno sa, forse, che Buy In Bottles è l'ultimo singolo estratto dall'album.
Mi dispiace tantissimo che un talento come Ashcroft naufraghi in tanta banalità: qui si parla solo di come è bella la vita di coppia, la vera legge è quella della natura ecc.ecc. Molto meglio la vecchia cara dolceamara sinfonia di un disco targato 1997, che tutt'ora appare magico.
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