Un bisbiglìo, un fruscìo. Una tela white noise a bassa frequenza che cattura pulsazioni cristalline e indifese.

Rimastichìo e sospensione. Piccoli traumi mai risolti sferruzzano i neuroni come un elettroshock a basso voltaggio e, mentre le immagini soffocano tra le spire di un minimalismo austero, le dita osservano le pieghe del cuscino e gli occhi grattano le crepe lungo i muri.

Come le carezze di un tempo distorte dalla memoria, come i baci di oggi corrotti dalla disillusione, la spuma salmastra di un’ansiosa musique concrète pigia continuamente sottotraccia la testa di contrappunti più dolci che cercano d’emergere.

Una ricerca interiore che incespica sul suo stesso senso, microscopiche oscillazioni sfilacciano quanto un attimo prima avevano composto, Chartier come Penelope fa e disfa la trama del sound.

Gli occhi si sbarrano e le crepe si allargano, la tentacolarità di Michael Northam è ridotta in schegge e asciugata dalle sue passioni, il crescendo di un fluttuante drone ci sprofonda in un nero gorgo ribollente dove ogni pensiero è sopito, anzi…

…Rimosso.

Un tremolìo, un palpito. Una staticità spettrale in cui riverberi sfocati brancicàno le molli cartilagini dei minuti.

Tutto è detto, fatta ogni cosa, una bonaccia elettronica affloscia le vele e pialla le onde. Nessuno sviluppo, nessuna evoluzione.

Legati al palo del verbo essere ascoltiamo senza pericolo una stagnante malìa che non inizia e non finisce, Chartier come una Sirena ingombra i pensieri con l’alito di micro-variazioni forse solo immaginate.

Rimaniamo noi: soli, immobili e senza peso. Il denso nulla del Roach di “Magnificent Void” si fa terreno, conciso, spogliato da ogni connessione cosmica.

E’ il vuoto di una domenica mattina passata sul divano a guardare il soffitto, un vuoto umano, relativo, transitorio, dove l’affanno del lunedì è lontano, anzi…

…Rimosso.

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