Io appartengo alla generazione "Teenage Lobotomy", è un dato di fatto. Mentre i nostri genitori si divertivano giocando a rimpiattino, coi noccioli di pesca, tirando i ciottoli nel fiume od organizzando i "camporella tour", io mi guardo in giro e vedo sempre più "homo game": migliaia di ragazzini con quattro neuroni, tanti quanti i tasti del joystick, capaci di comporre i loro poemi minimalisti ("ciao cm va dv czz 6? tvttttb") davanti al Giudizio Universale. Tuttavia, nel grigio diluvio moderno, qualcosa sembra sopravvivere: i cari, vecchi giochi di carte. Prendiamo la briscola: un semplice passatempo che si tramuta in una situazione di flusso, creando un microcosmo ove viene allo scoperto la nostra vera natura: c'è il bastardo che gioca di taglio, il ricco pieno di carichi, l'iracondo che bestemmia e appallottola le carte. Mitico, semplicemente mitico. Solo che, per restare sulla briscola, le carte sono sempre quelle quaranta, e dopo un po'uno si stanca dei vari "Se ti perdi tuo danno" o di quella faccia da pirla del re di denari. Ordunque, che fare?
La risposta furono i cosiddetti "giochi di carte collezionabili", che mischiarono le più disparate fantasie da maniaco con la filatelia più becera, originando migliaia e migliaia di carte diverse, ciascuna con le sue caratteristiche e le sue peculiarità. Hanno creato nuovi problemi (gli inevitabili tarocchi, i doppioni che spesso si tramutano in millesimioni, mandando qualche ragazzino ai matti) e nuovi tranelli. Mi ricordo ancora, mentre una lagrima mi riga il volto, dei bei tempi in cui fregavo i bambinetti scambiando le carte promo di Pokemon, di quelle che vi davano quando andavate a guardare il film, per quelle leggendarie. Ma il primo gioco di questo tipo non è stato giapponese (figuriamoci): esso nacque dalla testa del matematico americano Richard Garfield, allo stesso modo in cui Minerva sorse da Giove. Sto parlando di Magic The Gathering, un evento talmente dirompente che trasformò la Wizards Of The Coast da un buco di sedere a uno degli editor di giochi più imponente del pianeta.
Non ho detto "evento" per caso: quando il gioco cominciò ad essere venduto, nel lontano 1993, la gente si sfidava dappertutto: attorno a un tavolo, sui muretti, per strada. Descrivere le regole di un'opera (perché di questo si tratta) così complessa è impresa improba e forse inutile; e ci sono molte altre cose da dire. Ad esempio, è un gioco molto più ragionato di altri, grazie al sistema del Mana, che rende il numero di turno necessari per schierare una carta proporzionale alla sua potenza (altro che Yu-gi-oh!). E'dotato di un fascino palpabile, un po'per le ambientazioni fantasy, un po'per taluni rimandi tra le varie espansioni, rendendo così il tutto piuttosto organico, un po'per i classici pezzi introvabili, come "Proposal", la carta grazie a cui Richard si sposò, o "Splendid Genesis", dedicata al primo figlio.
Ma non è tutto. Oltre alla pleiade di strategie ideabili -sta qui, d'altronde, la grandezza di un giocatore- in Magic è presente un simbolismo che risulta dominante. Il vero genio, a mio avviso, non sta tanto nell'ideazione dei cinque colori (bianco, blu, nero, rosso, verde), ma nell'aver stabilito i rapporti che intercorrono tra di loro. Il verde, colore della natura, è alleato del bianco, che rappresenta il bene e l'ordine, e del rosso, che simboleggia la forza e il caos, ma è opposto al blu (colore del controllo) e al nero (la malvagità e la sete di potere): col semplice schema pentagonale posto sul retro di ogni carta, Garfield, nel definire e descrivere la physis, è molto più eloquente di tante spiegazioni. C'è tutta questa profondità in un gioco che, purtroppo, dopo diciott'anni di evoluzione e diecimila carte, tra mille effetti ed abilità, comincia ad entrare nella spirale del declino (le rare "mitiche" sono, a mio avviso, un indizio notevole: gli appassionati capiranno).
Infine, un'ultima considerazione. L'altro giorno la chat del DeBasio è diventata, dal deserto del Gobi che era, una Babilonia della rete e gli utenti giovani come me hanno avuto una discussione con le vecchie glorie: gli spunti offertimi non potevano che essere interessanti. Ho capito che le vere recensioni devono possedere un tocco "casereccio" e intriso di calor familiare, contrapposto alle dissertazioni da professorini inamidati. Ebbene, anche Magic è così: ci sono molti nerd e/o poveracci brufolosi pronti a rovinarsi pur di accaparrarsi l'unica carta che manca loro, ma fortunatamente ci sono anche sporadici individui rimasti in salute. E il gioco è bello non se dura poco (non è questo il caso), ma se giocato tanto per divertirsi con uno o più amici, senza smanie, in un pomeriggio plumbeo e piovoso. Oddio, sarebbe ancora meglio passare il suddetto pomeriggio con una ragazza davanti al caminetto, con la bottiglia di Champagne, ma, si sa: certe fortune non sono per e non capitano a tutti. UH!
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