Dolore. Rassegnazione. Speranza. La vita dopo il dolore: un percorso intimo che trasforma la ricerca sonora in auto-analisi, perlustrazione del proprio Io, processo di rinascita spirituale ed anzitutto umana.

Dedicato alla moglie defunta, “Landings” è l'inquieto specchio dell'anima in frantumi di Richard Skelton, che dalle remote lande del Lancashire, nel profondo nord dell'Inghilterra, tesse il suo tragico requiem per la donna amata.

I ricordi si mescolano ai brumosi paesaggi della sua terra: il giovane ed accorto polistrumentista inglese, rinchiuso nell'intimità di fattorie sperse nel fascinoso paesaggio natio, alla stregua di un pittore intento a catturare le magie del mondo circostante, confeziona il suo capolavoro di astrattismo sonoro: dodici movimenti che vanno a comporre un unico intenso irripetibile viaggio musicale che sa coniugare l'ambient più naturalistico all'elettronica più emozionale, sfiorando la classica contemporanea.

Composto in quattro lunghi anni, “Landings” viene pubblicato in poche copie nel corso del 2009 dalla Sustain-Release dello stesso Skelton (anche produttore), per poi essere recentemente riscoperto dalla Type Recordings, che ne ha saputo garantire una più ampia diffusione. Sarebbe del resto stato un vero peccato ignorare un'opera di tal fattispecie, ed è ancora più un peccato pensare che probabilmente il nome di Richard Skelton rimarrà nonostante tutto appannaggio di pochi, pochissimi appassionati.

Musica cinematica, pittorica, espressionista che fonde con dolorosa ispirazione e classe sopraffina mondi interiori ed esteriori, che ritrae compositi paesaggi dell'anima, che descrive l'indescrivibile: la sofferta accettazione della morte di una persona cara, il desiderio di rinascere e tornare a vivere attraverso la fusione panica con la Natura. Come lo stesso autore spiega, “Landings è un tentativo di creare una connessione più intima con i paesaggi e di esplorare un senso di identità con i luoghi.

Indugiare innanzi ad un paesaggio, starci delle ore davanti, dentro, immobili, silenti, impassibili esteriormente, con il caos primordiale che è in subbuglio sotto la pelle. Indugiare innanzi ad un paesaggio, sprofondare nel suo cuore, passeggiare nell'attesa che il dolore si estingua: un'irrequieta passeggiata per le brughiere, per i vasti campi umidi di rugiada, fra le dense nebbie che svelano fantasmi del passato e le lacrime che stanno ancora dentro.

I vari movimenti tendono a somigliarsi, densi della drammaticità di un discorso che si fregia dello stridore, ma anche della melodia, di archi che si accavallano e perdono nella vastità di un cielo grigio e nuvoloso; droni, loop infiniti che asceticamente ricalcano questo indugiare indugiare indugiare in un'attesa che non pare aver fine, ma che lentamente dona sollievo allo spirito. A tratti una chitarra arpeggiata che si fa spazio fra i solchi di un ambient metafisico e pantagruelico per avvicinarsi al post-rock più rarefatto, immagini che ci portano direttamente dalle parti dei primi Sigur Ros, al Fennesz più liquido, a sua maestà Brian Eno dell'immenso “On Lands”, il riferimento primo per comprendere l'opera di Skelton.

Drone-folk, ambient, cantautorato dell'anima che di parole non necessita, ma solo della contemplazione che diviene penetrazione, condivisione con quel Tutto che si vorrebbe abbracciare quando le certezze vacillano, quando l'Io è così incompleto, debole, fragile da non potersi reggere sulle proprie gambe.

Una ricerca artistica che nasce con la tecnica del field-recording, che passa dallo studio dell'acustica dei luoghi e degli ambienti, per tramutarsi in un rinnovato legame fra Io e Natura; contemplazione di sé, delle proprie radici, che diviene per noi contemplazione, penetrazione di una musica che sa estasiare, emozionare, cullare i sensi prima ancora che la mente.

Non è minimalismo né monotonia: è solo indugiare sul suono aspettando che le note si accordino ai contorni dell'anima. Vuol dire procedere adagio, abbeverarsi del tempo di cui si necessita per acquisire la calma interiore e tornare a vivere.

Avete quest'anno ascoltato un album più bello? Io no.

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