Ventiquattro anni, sette album in studio in un arco temporale di sette anni e poco più, una ricca carrellata di numeri uno, una casa discografica con relativi amministratori e magnaccia che la coccolano neanche fosse Cleopatra sul triclinio e in più un brutto fattaccio di violenza subita dall'ex fidanzato-collega-cantante-rapper: Rihanna è oramai divenuta, agli occhi del popolino e del palcoscenico - fra il solido e il traballante - del musib biz il Re Mida dei guadagni veloci, rapidi e indolori, una sorta di macchina da guerra completa di dischi, scandali, vertiginoso sex appeal e uscite in bilico fra lo scottante, l'imbarazzante e il voluttoso. In un periodo dove i guadagni della major languono, i formati fisici restano a far polvere sugli scaffali e la pirateria è sul punto di fare il suo ingresso in qualche testo costituzionale, la barbadiana classe '88 incarna perfettamente gli ideali del pop mainstream odierno: canzoni facili, hit appositamente confezionate per raccogliere - a mo' di pifferaio magico con i suoi topolini - l'audience più vasta possibile, spettacoli pomposi connubiati alla classica teoria "sex+trash+dance = lot of money" e soprattutto la volontà di monopolizzare l'attenzione dei consumatori su quella precisa figura attraverso un tour-de-force eterno di rilasci, uscite e nuove produzioni.
In un lasso di tempo abbastanza ridotto, la tattica di Rihanna (perlopiù quella di boss e papponi del suo reame) per arrivare al successo, alle number ones e agli ingaggi multimiliardari è stata quella del camaleontismo à la Madonna, solo più sfacciato, frettoloso e a volte lasciato incompiuto; accompagnata dal miglior firmamento di producers e featurers (Stargate, David Guetta, Jay-Z, will.i.am e così via), l'artista ha cambiato panni, volto, (corpo), umore e tematiche nel giro di neanche ventiquattro mesi: dalla ragazza sculettante e ancora quasi innocente di Pon de Replay il tragitto verso l'approdo alla bomba sexy di Umbrella, le velature dark di Russian Roulette e la toxicomania di We Found Love si è concretizzato in pochi risicati gradini temporali. E in tutto questo bel minestrone estetico-erotico-sonoro si è pure insinuata la peccaminosa liason con il pretendente al trono jacksoniano, mr. Chris Brown, autore della trasformazione della favola d'amore disneyana in apocalisse da mille e un ceffone; la vicenda, con grande clamore dei media, invece che annichilire (o persino inficiare) l'ego sessual-prorompente della barbadiana, ha fatto da detonatore ad una bollente esasperazione di tali velleità a luci rosse in videoclip (S&M, You Da One, We Found Love), scatti, concerti, mise e apparizione che sarebbero la ciliegina sulla torta servita durante l'annuale pranzo degli allupati.
Eppure, tralasciando l'erotomania, la sfacciataggine, la becera commercialità del suo prodotto e la manomissione del panorama mainstream attuale, Rihanna & produttori hanno il potere di magnetizzare anche il più disincantato e il più disinteressato anche a un singolo brano/singolo: è proprio il tentativo - quasi caleidoscopico - di diventare la Madonna dei Duemila e rotti, maneggiando tutto con tutti, mescolando, miscelando, chiamando a sé i maghi del sound e proponendo un disco ogni morte di moscerino a rendere la gioviale giovincella un possente carrarmato del pop odierno, racimolatore di un fan base di simpatizzanti ed estemporanei curiosi sempre più ampio e disponibile all'ascolto delle sue creazioni.
"Unapologetic" è, come già rimarcato, il settimo album in sette anni di attività e raccoglie l'eredità di Loud, cacofonico, orecchiabile e molto easy, e Talk That Talk, un tentativo (piuttosto riuscito, almeno a livello commerciale) di inserirsi fra la tamarraggine discotecara (We Found Love) e le origini hip-hop/dancehall. Acclamato dai seguaci più sfegatati come il nuovo Rated R (lavoro più ricercato e dark, influenzato dalla batosta presa da Brown), questa ennesima raccolta di brani accalappia-audience intende costruire un progetto maggiormente corposo, convincente e maturo rispetto al passato, un modo per farsi notare da critici e massa come un'artista completa e non sfacciatamente banale e commerciale. Effettivamente siamo di fronte ad un disco meno immediato e facilotto, ad un settimo lavoro in studio che - appunto - rifugge la bislaccheria e lo sfavillio. Il problema di fondo è comunque il solito: la spasmodica ricerca del tutto e di tutti incapace di fornire al progetto (comunque buono) un filo conduttore rimarcato e ben comprensibile. Fattor comune di sonorità elettronico-dubstep, beat hip-hop scazzosi, atmosfere retrò, revival jacksoniani e ballate strappalacrime, Unapologetic si avvicina all' "ardore" di Rated R - quest'ultimo dotato di un filo conduttore unico - ma non riesce a sovrapporsi ad esso. Fra i quattordici brani che compongono la tracklist è opportuno segnalare il primo estratto Diamonds, sorta di sposalizio elettronico-soul in ballata romantica, lo sfacciato duetto con il manesco ex Chris Brown Nobody's Business, gustosa traccia dance-lounge retrò (peralto acclamata come il sequel di The Way You Make Me Feel di Jackson), la tamarrissima Right Now con David Guetta e Jump, compromesso dubstep con la crew dei Chase&Status; menzionabili, infine, il duetto con Eminem (!!) nella ghetto-style Numb, l'elettro-hip hop Phresh Out The Runway, l'R&B soft di Loveeeee Song (titolo reale) e la lunga ballad Love Without a Tragedy/Mother Mary.
Rihanna: per alcuni la morte della musica, per altri l'erede del pop spettacolistico, per altri ancora un buon passatempo onanistico. A livello musicale siamo di fronte ad una miscelatrice accanita, a volte inflazionatrice e selvaggia manipolatrice, ma con un'eccezionale capacità di essere pervasiva nel tutto e in tutti, di scegliere il mucchio e non la pagliuzza. A voi le dovute conclusioni.
Rihanna, Unapologetic: Phresh Off The Runway - Diamonds - Numb - Pour It Up - Loveeeee Song - Jump - Right Now - What Now - Stay - Nobody's Business - Love Without Tragedy/Mother Mary - Get It Over With - No Love Allowed - Lost In Paradise.
Carico i commenti... con calma