Si sa, portare un cognome importante e provare ad entrare nel mondo dello spettacolo, è difficile.
Essere figli o parenti d'arte è notoriamente un peso, apre tante porte quante ne chiude, i confronti sono inevitabili, e se non è solo un'operazione commerciale, se veramente vuoi suonare,  ti rende la vita complicata quanto basta.

Chiamarsi Marco Ligabue, poi, è quello che è.

Magari avrai pure una sala di incisione in famiglia, una produttore che organizza eventi da duecentocinquantamila persone, attrezzature a disposizione di livello altissimo, consigli tecnici che vengono dalle migliori bocche della scena.

Ma chiamarsi Marco Ligabue, è quello che è.

Ormai è un pò che il fratellino del buon Luciano ha deciso di mettersi in proprio. Vedere quelle porche trentamila-sessantamila persone a concerto giù al palco, che aspettano solo il fratello, e gestirne, miseramente, il di lui fan club, un pò di sana invidia la deve fare. E così, gira che ti rigira, un giorno apri un concerto con il tuo gruppo, un giorno ti organizzi qualche serata, l'album ti esce spontaneo, vuoi o non vuoi.

Fai l'album. Fai 150 serate in giro per la penisoletta. Passi in radio qualche volta. Un secondo album ci sta dentro tutto.

E così, dopo più di due anni dall'uscita di "Mariachi Hotel" targata 2004, nasce "Terra, Luna e Margarita" l'ultimo lavoro (non fatica) dei Rio, la band capitanata da quel gran capellone del sopracitato Marco Ligabue.

Il gruppo c'è. Marco è un chitarrista non male, Fabio Mora ha dato una bella ventata fresca alle voci maschili italiane, Tony Farinelli al basso, un Cesare Barbi alla batteria che ha registrato tanti pezzi di "Nome e Cognome" (Luciano Ligabue - 2005 - Ed. Warner), e per finire Alle Bartoli a, quelle cose lì piene di lucine che mandano effettucci strani. All'elettronica, sì. C'è pure l'ormai immancabile Dj.

Scorrendo le tracce dell'album, dieci per la precisione, qualcosa si sente. La passione intendo. Di quella ce n'è, almeno un pò. Si avverte in qualche pezzo quel pizzico di impegno in più che riesce a fare un brano udibile fino alla fine. Ero indeciso sull'acquisto. Osservando i commenti sul sito personale (http://www.rio.it), tutti stranamente positivi, mi ero chiesto cosa ci fosse sotto. Ero quasi convinto che fossero famosi, ma provando a chiedere più o meno a mezza italia, se conoscessero o meno il gruppo, o qualche loro canzone l'ho capito (solo per la cronaca, la risposta alla domanda era "Chi???").

I Rio sono un gruppo con un potenziale enorme, quello del fratello di Marco, ma non ce l'hanno fatta a sfruttarlo. Ne è uscito un album strano, a tratti convincente e a tratti no, che a tratti si alza dalla media e non di poco e a tratti cade nel commerciale più buio.

L'inizio è alcoolico, "Margarita", una delle title-track, è subito chiara. Ai Rio piace il Messico. Sinceramente il Messico da bambino lo immaginavo come nelle pubblicità dell'Esta-thè, Pedro e l'amico che si crogiolano sotto un sole bestiale, o come il limite di frontiera da superare per criminali americani mostruosamente fighi. Continuo ad immaginarlo così, e non so cosa ci sia di bello. Sarà che abito a Napoli e la differenza (Sole e voglia di far niente) è pressochè nulla. Ma a loro piace proprio. E' uno dei motivi per cui si è formata la band. Il ritmo è al limite della dance, con una chitarra impertinente di sottofondo. Si fa sentire presto uno dei difetti dell'album: i coretti femminili, che con la voce di Fabio c'entrano poco, proprio poco. Sembrano quasi stare lì per dar lavoro a qualche loro amica disoccupata.
"Come ti va" questa estate in radio tirava. Ha un suo perchè, è una canzone da macchina piena di gente con cui vuoi stare. Una canzone allegra, vagamente solare. L'influenza del Luciano è una costante fissa dell'album, con i riff iniziali e di metà strofa, le variazioni, gli accordi, gli assoli, la semplicità strutturale. C'è. E' innegabile, e non so fino a che punto sia positivo.
Terza, ahimè, c'è "Alice". Credevo fosse finita la moda della canzone sulla ragazza sfigata iniziata da "Mary" dei Gemelli Diversi. Mi sbagliavo.
Avvicinandosi a metà album si può notare una metamorfosi tonale e timbrica del cantante. Se non fosse per il riff inutile, e per i coretti, quasi non sembrerebbero i Rio. "La vita perfetta" è un tappabuchi, chitarra acustica a manetta, e voce, con effetti vari.
"Dimmi" si alza dalla media dell'album. Per carità si parla sempre di testi semplici, già sentiti, ma è dolce. Fabio lascia tre quarti di corde vocali che grattano e casa ed entra in studio, diverso. Un pezzo soffiato, veloce quanto basta. Passa via in fretta. Da macchina con L'UNICA persona con cui si vuole stare.
"Il movimento dell'aria", "Scossa" e "Tutto in una notte" (nonostante i simpatici coretti), sono tre pezzi. Basta.
Penultima arriva la seconda title-track, "Questa è la terra", canzone da macchina con solo sè stessi. Scorre via liscia, se solo non fosse così "Lucianiana".
"Luna" è una di quelle che ci provano a staccarsi dal solito stile. In parte ci riesce, in parte non ce la fa. Non ce la fa proprio.

In definitiva, un album comprabile, se non fosse per quel pop-rock già troppo sentito. Uno stile stanco, ormai, che convince in parte solo grazie a un cantante bravo, pronto a dare una ventata di aria fresca su un prodotto commerciale.

Forse un pò troppo.

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