I Rise Against si sono evoluti, e questo è un dato di fatto. E' aumentato in maniera incredibile il pubblico negli ultimi anni, sono sempre di più le menti alle quali il frontman Tim può arrivare. Questo è sicuramente uno dei fattori (compreso il cambio alla chitarra) che ha determinato non solo una evoluzione di sound (in positivo? in negativo? probabilmente nessuna delle due) ma anche dei contenuti.
Dando un primo sguardo ai testi si nota come ormai, più che mai, il terzetto di Chicago è diventato una fonte e un divulgatore di tutti i problemi, naturali, sociali, politici (ma non per questo si devono considerare una band schierata) che attanagliano il mondo in cui viviamo. Nessun "fuck the world" nè tantomeno slogan del tipo "il mondo fa schifo, moriremo tutti". Quelle che ti pongono davanti agli occhi sono tante domande, e la risposta sta proprio nell'interpretarle in modo giusto.
Il disco si apre con la potente "Architects" e già qui si notano alcune caratteristiche comuni a tutto l'album. Vastissimo uso di cori che colorano ulteriormente l'opera, un ritornello non così cattivo, come si aspetterebbero tutti quei fan che si sono innamorati della band con album come "Siren Song Of The Counter Culture", ma che dopo qualche ascolto acquista un suo perchè.
Di seguito troviamo due tracce con una costruzione che ti presenta subito il ritornello, ripetendolo forse troppo. L'ascolto scivola tranquillamente, con un paio di acuti (finalmente Tim torna a screamare) finchè non si arriva a "Satellite". Probabilmente la migliore canzone dell'album, un testo fantastico che esplode nel ritornello quando, a quel punto, diventa quasi poesia.
"Midnight Hands", "Survivor Guilt", "Broken Mirrors" costituiscono il terzetto più piacevole del disco, una serie di bei riff hard rock, scream, aggressività, ritmi non esagerati, e ancora una volta testi che filano quasi come rime perfette, degne del miglior poeta contemporaneo. Non mancano ottimi giri di basso, vedi "Wait For Me" o tracce dal sapore più punk rock, vedi "A Gentlemen's Coup".
Sicuramente non è un concept album, ma l'atmosfera che ci fornisce è proprio quella voluta dalla band, una steppa desolata, un sogno americano che si infrange contro la realtà, si passa da una positività "giovanile" ad una rassegnazione (sempre se così si possa definire) finale che scaturisce nelle ultime due canzoni., è la fine dei giochi, la città brucia, ci sono corpi morti a terra ma nessuno ormai prova più sentimenti, non ci sono dei, non ci sono antidoti, è l'uomo che si è autodistrutto, è ricaduto negli stessi errori.. e ora lei, quella vita, quasi impersonificata col volto di donna, vede la fine davanti a sè.
Si rivelerà un album tanto attuale quanto visionario? Guardando indietro a canzoni come "Re-Education" la risposta sembra ovvia.
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