Punk rock. Non era quel genere di musica che predicava l'uscire fuori dagli schemi e continuare a testa alta a dispetto di tutto quello che ti gira intorno?
La cosa più paradossale è che molti esponenti del genere, malgrado le buone intenzioni, finiscono sempre per giocarsela facile, con dischi che effettivamente potranno sicuramente essere un colpo sicuro con i fan, ma che in essenza non aggiungono nulla di nuovo rispetto ai lavori precedenti.
Questo ultimo disco dei Rise Against richiama le sonorità di album come "The Sufferer and the Witness", anche in termini estetici (la copertina del disco è un ovvio riferimento). Le canzoni rappresentano il tipico sound in stile Rise Against, vale a dire quell'hardcore melodico tendente al pop, questa volta spingendosi più dalla parte di quest'ultimo. Con premesse del genere, mi sembra difficile screditare questo disco. Non è un brutto album. I suoni sono dettagliati, le canzoni sono azzeccate e la voce di Tim Mcilrath è una delle più amate e riconoscibili del genere. Il problema per me è che questo disco è stato gia fatto 2 o 3 volte dalla band!
Il format comicia a essere un pò ripetitivo: un paio di pezzi più veloci susseguiti da un paio di numeri più "catchy", con l'immancabile ballatona malinconica a spezzare l'atmosfera per qualche minuto.
Il fatto che una band sia in giro ormai da oltre 15 anni non significa per forza che il sound si debba evolvere, ma non posso fare a meno di pensare che evitando di portare avanti nuove idee e osando sperimentare nuove strade, si possa perdere qualcosa per strada. Una storia ricca di picchi emozionali come quella dei Rise Against rischia di diventare un pò piatta e peredere tutto il senso originale.
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