E’ ormai risaputo che da molti anni Internet è il mezzo pubblicitario ideale per ogni artista con l’intenzione di emergere sulla scena musicale: siti come Myspace o Youtube sono popolati da un folto esercito di artisti con lo scopo di promuovere il proprio operato e la speranza di essere notati da una major importante con conseguente (e si spera cospicuo) ingaggio.

Non capita quindi tutti i giorni di trovarsi davanti ad un gruppo che, pur sfruttando con efficacia i mezzi offerti dalla Rete, ha deciso tuttavia di non scendere a compromessi con l’industria discografica e quindi di intraprendere il proprio personalissimo percorso musicale, alla ricerca della “perfetta armonia”.

E’ il caso dei Rishloo, band prog/alt rock di Seattle con all’attivo già due album finanziati e prodotti in modo assolutamente autonomo e che vanta un discreto successo in madrepatria.

Ultimamente il lavoro del gruppo sta ottenendo consensi anche in Europa e Sud America; tuttavia l’attuale condizione di indipendenza economica impedisce loro di disporre di budget adatti per organizzare un tour di promozione oltreoceano. Si spera comunque in un prossimo futuro di vederli muovere i primi passi sul Vecchio Continente.

In questa recensione andremo ad analizzare il terzo lavoro in studio della band, “Feathergun”.

L’album succede all’insipido debutto “Terra Fames” ed all’ottimo “Eidolon”.

Si può notare come con il passare del tempo i Rishloo abbiano cercato di differenziare ed esaltare le proprie peculiarità ad ogni produzione. Con Feathergun l’impresa è sicuramente compiuta: finalmente è scomparso il fastidioso e ridondante mood “tooleggiante”, sostituito da un suono più leggero, inconfondibilmente barocco e molto evocativo.

Sorprendente la performance del cantante Andrew Mailloux, dal timbro inconfondibile che ricorda in qualche modo una sorta di mix tra Maynard Keenan e Freddie Mercury.

In effetti la prima impressione è proprio quella di ascoltare dei brillanti emuli dei Queen in salsa progressive, impressione che si acuisce in tracce movimentate come “Systematomatic” o “Dyamond Eyes”. Echi alternative in perfetto stile Dredg (“Turning Sheeps into Goats”) e The Mars Volta (“Weevil Bride”) permeano comunque tutta la produzione, arricchendo quindi l’offerta della band.

La chitarra di David Gillet accompagna la performance canora a volte con arpeggi ipnotizzanti, altre volte con riffs di chitarra distorta.

A tutto ciò si aggiunge uno stile ispirato, di grande effetto e personalità; merito anche dei testi, per niente scontati e di non sempre facile interpretazione.

Con questo lavoro, i Rishloo dimostrano come l’ispirazione, senza freni inibitori di sorta, possa condurre a grandi risultati in ambito musicale.

Siamo davanti ad un esempio di musica realizzata con passione e vissuta non certo come semplice business, ma come la più grande e magnifica espressione dell'animo umano.

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