Dal 2009 c'è sta roba qui che si chiama Ritual Mess. Io, da bravo ritardatario come son solitamente con i gruppi musicali, mica li conoscevo. Mai sentiti nominare per caso. Come li ho scoperti? Beh, il potere dei social network suppongo. Nuovo post dei Birds In Row in bacheca su Feisbuc e annunciano di aver accettato di prender parte all'Hellfest. Tutti felici, contenti, gioiosi per il trio Deathwish che si prepara a un 2015 sulla cresta dell'onda (modalità hype on) e nei commenti sotto il post compare la domanda se gli Orchid che s'intravedono in lineup siano quelli di Amherst. Il culto dello screamo tirato ai limiti del powerviolence. La leggenda. Ovviamente no, ma qualcuno suggerisce di andar ad ascoltarsi "Vile Art" dei Ritual Mess che è definito dai stessi componenti del gruppo come la cosa più vicina immaginabile a una reunion degli Orchid. Beh, la curiosità vince e mi fiondo sul Bandcamp della Clean Plate che ha pubblicato questo lavoro nel settembre 2014. Leggo rapidamente e ora capisco. Non avrò mai sentito nominare la band, ma i componenti sì. Alla chitarra e in produzione c'è Will Killingsworth uno che con le sei corde ha riscritto paginate della scena skramz con gli Orchid. Insieme a lui ci son altri due componenti di quel magnifico gruppo che furono e a completare il quadretto si aggiungono altri due ragazzi provenienti dagli Ampere, non gli ultimi arrivati diciamo.

Non so se questo "Vile Art" sia perfetto, valga cinque stelle o quant'altro, ma il sapore è dannatamente old school. E lo adoro per questo. Ti trasporta in quel sound rognoso e incazzato di primi anni '00 per non scomodare una città californiana tipo San Diego e gli anni '90. Non vorrei azzardarmi a tanto però il sentore è proprio quello. Considerate che sto scrivendo di getto con il disco in sottofondo (sottofondo si fa per dire). Undici pezzi schizofrenici e malatissimi, con dei momenti belli densi e vischiosi come una palude che ti trascina giù. Questi sarebbero invecchiati di un decennio? Non me ne accorgo. Ma proprio zero, zero, zero. Jayson Green ha la stessa voce isterica e rabbiosa dei primi tempi, anche quando si lancia in spoken word sprezzanti e ruvidissime. Piccoli break in una caotica confusione che non ti lascia riferimenti e ti ricorda i picchi di una "I Am Nietzche". Sonorità pregne di un certo senso d'urgenza, allarmanti e angoscianti. C'è la melodia tipicamente screamo? Macccerto, secondo la loro personale visione delle cose che la rende distorta e malsana. L'incidere è secco e compatto, con poche concessioni e compromessi, riservate perlopiù all'inquietante outro finale di "Wasting" che ben rappresenta i sentimenti di questo full length. Break cupi e ripartenze al fulmicotone, così decidono di giocarsela i Ritual Mass. Se vi chiedete da dove vengono tutti i gruppi che adesso stan facendo rivivere la scena screamo, ecco, qui dentro avrete un'idea chiara ed evidente.

E quindi basta. Non c'è molto da dire, è la solita (solita, ma ben venga) furia che contraddistingueva gli Orchid, ma trasportata a qualche anno di distanza, dove Green nei suoi testi filtra ancora protesta politica e sociologica, ma in modo meno evidente (insomma, nessuna citazione alla Scuola di Francoforte) e andando sempre a toccare i nervi scoperti della sua personalità fornendo una prestazione che fa esultare chi non hai mai dimenticato il suo stile over the top e criptico nel graffiare su ritmiche che si confermano esser opprimenti e disilluse come non mai. Poi son venti minuti di disco tipo, non c'è un granché da capire, solo pigiare play e lasciarsi travolgere dalle ondate di un bel progetto che riporta ai fasti della Gravity Records e il suo universo post hardcore.

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