Quando arrivano le sterzate improvvise io spero sempre che siano effettivamente “l’inizio di una nuova fase”. Non è stato seriamente così per i Riverside. Quando nel 2009 uscì il potente ed ispiratissimo “Anno Domini High Definition” pensai che fosse veramente l’inizio di una nuova fase decisamente più avventurosa ma la band avrebbe poi smentito tutti in un batter d’occhio; la band prende subito una tazza di camomilla e l’EP del 2011 “Memories In My Head” ripropone l’approccio atmosferico dei primi due album, poi nel 2013 arriva “Shrine of New Generation Slaves” con il suo mix di sonorità delicate ed elementi di stampo rock/hard rock settantiano, apprezzate da alcuni e un po’ meno da altri, qualcosa di nuovo per la band ma nulla di veramente coraggioso e spregiudicato come il disco del 2009.
“Love Fear and the Time Machine” prende quanto di più soft trovavamo nel precedente disco e lo estremizza; ci troviamo così di fronte all’album più intimista e raffinato della band. Una delicatezza che padroneggia all’interno dell’intero album, anche nei momenti meno esplicitamente delicati e un po’ più movimentati. A dominare sono chitarre sempre soffici e pulitissime con un tocco a volte quasi decadentista, sostenute un basso molto presente ed oscuro e da tappeti d’organo e tastiere intensi ma allo stesso tempo tremendamente rilassati, come tremendamente rilassata è anche la voce.
Un approccio che potrebbe ricordare gli Anathema tesi ma allo stesso tempo rilassati di “Alternative 4” e “Judgement”; Anathema che da sempre rientrano tra le influenze del combo polacco ma stavolta la somiglianza è davvero palese (basta ascoltare “Caterpillar and the Barbed Wire” e “Found”, piuttosto simile a “Feel”), anche se l’impronta Riverside è comunque ben presente. E sembrerebbe che anche un leggero tocco di Cure abbia influenzato la band (come si può ad esempio notare nelle parti di chitarra e basso di brani come “#Addicted” o “Towards the Blue Horizon”), contribuendo a dare quel tocco “decadente” all’album.
Abbiamo quindi un disco dall’incredibile raffinatezza e dalle melodie davvero impeccabili. Tuttavia non penso sia nemmeno il caso di gridare al miracolo. Una qualche evoluzione nel sound della band la si può individuare, sicuramente il disco non è la copia carbone di nessun altro lavoro loro, ma parlare di vero e proprio “nuovo corso” potrebbe risultare eccessivo. L’impressione che ho avuto è che ciò che è stato fatto è essenzialmente riprendere il sound dei primi due dischi e spogliarlo di alcuni elementi; se vogliamo farci un’idea di cosa sia “Love Fear and the Time Machine” dobbiamo immaginarci il sound atmosferico dei primi due dischi, togliere i robusti tappeti di tastiere e sostituirli con organi cupi e vagamente vintage, rimuovere le parti metal (così come anche gli elementi hard rock presenti nel precedente album) e gli assoli dal sound robusto ed aggiungerci una vena gothic in più.
Avevano saputo osare decisamente meglio con “Anno Domini High Definition”, quello sì che poteva veramente aprire un nuovo corso, peccato che invece si sia trattato di un episodio isolato che non ha nemmeno messo d’accordo tutti (il fatto che molti abbiano indicato la meno avventurosa e più tradizionale “Left Out” come il pezzo migliore di quel disco è la piena dimostrazione di come quel nuovo sound non abbia convinto molti fan, specie quelli meno propensi a vedere una band cambiare anche radicalmente), anche perché penso che le svolte siano fatte per essere portate avanti e per durare un paio di capitoli (si prenda esempio da gruppi come i Rush, a mio avviso band modello su come una band dovrebbe strutturare la propria carriera, ovvero in fasi ben distinguibili).
Spero che la voglia di osare qualcosina in più torni presto alla band ma non posso ritenermi affatto deluso da un lavoro con una raffinatezza melodica così forte. Fra le uscite significative dell’anno i Riverside non possono mancare.
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