Barbara operazione commerciale oltre il rivoltante o esperimento per sondare il limiti del rappresentabile? Anche se siamo nel 1980 il mondo in cui si muove questo celebre film di Deodato è quello dei settanta in fase terminale. Terminate le ubriacature degli "anni dei giovani", avvenuto l'omicidio di Sharon Tate ad opera dei seguaci di Charles Manson, entrati nell'era del terrorismo (tanto per citare alcuni tra i momenti salienti di fine 60/tutti i 70), il mondo che il decennio appena entrato si lascia le spalle è ormai un crogiuolo di irrazionalità e desiderio di morte.
Per questi e altri motivi, bello o esecrabile che sia questo film, non possiamo non prenderlo in considerazione.
In sintesi, il film narra le vicende di un antropologo incaricato di ricercare un gruppo di giovani, partiti per realizzare dei documentari sulla tribù degli Yanomamo, il popolo degli alberi. Il viaggio effettuato dallo studioso, in compagnia di una guida, li porta a ritrovare delle carcasse scarificate legate ad un palo con appese delle bobine cinematografiche. Sono i cadaveri dei giovani studenti, divorati dai cannibali ed esposti come trofeo.
Tornato negli Stati Uniti, l'antropologo fa sviluppare le pellicole che vengono proiettate in una sala privata davanti ai familiari delle vittime. Sulla tela scorreranno immagini di spaventose atrocità perpetrate dagli studenti nei confronti degli indios; massacri, violenze carnali, squartamento di animali; questo fino al finale dove il gruppo viene catturato e divorato. Tutto questo mentre l'ultimo di loro fugge e filma tutto. Persino se stesso che cade ucciso.
Ora: poco da difendere, le violenze fatte subire agli animali in questo film (violenze vere) sono certamente esecrabili, anche se va detto che la cultura ecologista all'epoca era meno sviluppata. In un'intervista Deodato ha dichiarato che questo fu l'unico dei suoi films dove è avvenuto ciò e contro la sua volontà. Vero o meno, le persone con una sensibilità verso l'altro, uomo o bestia, non possono non indignarsi quando, ad esempio, viene catturata una testuggine e scoperchiata del carapace e mozzati gli arti. Siamo nel voyeurismo senza dubbio, anche se in realtà è proprio un rituale yanomamo eseguito secondo le regole.
Ma... una cosa c'è da dire; questo è un film sul voyeurismo e anche molto interessante oltre che ben girato. Certo ci sono errori antropologici ma il mestiere di Deodato è di buonissima qualità.
E' soprattutto l'originale struttura della sceneggiatura a colpire favorevolmente; difatti si tratta di due films in uno. All'inizio l'avventurosa spedizione di ricerca, con le sue belle crudeltà. Poi la proiezione delle pellicole degli studenti. Un film nel film e all'epoca cosa rara in un film "alimentare". E' qui che nasce una riflessione sul filmabile, sullo spettatore osservato. E' un film il viaggio dell'antropologo. E' un film nel film, con le sbavature di sviluppo e le teste e le code della pellicola non montata le proiezioni dei reportages dei giovani criminali. L'uso della camera a mano da parte dei giovani assassini, che in realtà erano autori di snuff movies alla ricerca di guadagni facili, non si ferma davanti a nulla, sia che si tratti di riprendere innocenti madri e figli yanomamo ardere in un capanno (scena dichiaratamente ripresa da Oliver Stone in "Platoon") che di filmare la mutilazione di una gamba di un compagno di viaggio morso da un serpente velenoso.
In un certo senso, e meno nobilmente di "L'occhio che uccide" di Powell ma molto modernamente, è come se ci venisse rivelato uno dei demoni principi del fare cinema; l'atteggiamento morboso di chi riprende l'altro e ne attende il momento segreto più scandaloso, morire.
Da questo punto di vista, non così arbitrario come potrebbe sembrare, la scena finale è illuminante; come già scritto sopra, per ogni compagno che muore sotto le spaventose atrocità degli indios c'è un occhio che scruta fino all'indugio dei particolari. Nulla ferma il dovere di filmare, di eternare la fine. Il tutto incorniciato dalla magnifica colonna sonora di Riz Ortolani, così contrastantemente lirica da amplificare l'orrore.
Si può quasi dire che "Cannibal Holocaust" contenga persino la sua stroncatura.
Nella realtà il film venne sequestrato, benchè non fosse il primo film "cannibale" del cinema italiano. Deodato, che aveva spacciato per vere le riprese degli studenti, tanto che questi firmarono l'obbligo di sparire dalla circolazione, dovette presentare gli attori in aula per provare che erano in vita. La dice lunga sul realismo delle scene finali...
La scena più incriminata è la più famosa di tutta l'opera: i giovani ritrovano una ragazza impalata, trofeo abbandonato per strada. In realtà la giovane, ben viva e vegeta, era montata su un sellino di bicicletta e un palo appuntito era stretto in bocca. Bravura del tecnico degli effetti speciali, il grande Sergio Stivaletti.
"Cannibal Holocaust" venne sequestrato per 4 anni e fatto poi uscire in versione mutilata (mutilata... beffardo vero...), tanto più che fino alla recente uscita in dvd, era impossibile vederne la versione integrale.
Oggi è un film di culto in tutto il mondo; talmente conosciuto che due giovani furbacchioni americani hanno usato la stessa strategia commerciale e l'idea di base per realizzare "The Blair witch project". In Giappone risulta essere il secondo film più visto. In Italia credo sia stato trasmesso una volta solo, ampiamente tagliato, su una rete Mediaset, di notte.
Tra gli attori protagonisti in luce c'è Luca Barbareschi, non accredidato. Chi ha in antipatia questo attore non potrà che confermare i suoi sentimenti mentre lo si vede uccidere (veramente) una specie di cinghialino dopo averlo preso a calci. "Cannibal Holocaust" è il suo film d'esordio.
Amarlo, odiarlo... non so nemmeno bene io; certo è imprescindibile per capire un'epoca. Io stesso non sono mai stato più capace di rivederlo ma è così impressionante che non sono riuscito a dimenticarlo. E' lì, con gli altri dvd; ogni tanto vorrei rivederlo ma non ce la faccio. E non ce la faccio nemmeno a consigliarlo agli stomaci più deboli.
Per concludere uso le ultime battute del film, dette dall'antropologo, dopo aver visto gli snuffs: "A volte mi domando chi siano i veri cannibali"...
p.s.: a partire da questa recensione eviterò di mettere gli asterischi di voto perchè troppo vincolanti per un giudizio sempre più complesso e sfumato di quanto possano dire dei simbolini.
Con affetto, Giovanni Natoli detto happypippo.
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