A volte è difficile essere obbiettivi. Prendete il caro vecchio Rob, per esempio: sono addirittura 21 anni che delizia le masse di headbangers con il suo riconoscibilissimo techno-groove metal, destreggiandosi tra capolavori oggettivi (l'ultimo fenomenale "Astro-Creep: 2000"  dei suoi epocali White Zombie, o il primo lavoro solista "Hellbilly Deluxe") e altri dischi discreti che potremmo definire "di mestiere" (più o meno tutto il resto). Eppure la personalissima sintonia che sento con questo Autore (la maiuscola non è un caso) va oltre la sua musica, oltre la qualità della sua proposta, oltre al mero giudizio di come suonino i suoi dischi: semplicemente io e lo zio Rob siamo attratti dalle stesse tematiche, adoriamo lo stesso "fantastico" immaginario da fumettone di serie B popolato da mostri, alieni cannibali e bamboline succinte. Ci piacciono le stesse cose, insomma. Per dirlo con altre parole, Rob parla di quello di cui parlerei io se scrivessi mai dei pezzi metal.

Aggiungiamoci anche la sua strabiliante carriera da regista e il gioco è fatto: quindici anni fa, Rob mi aveva stregato dalla prima nota; con il suo esordio cinematografico "La casa dei 1000 corpi" fa lo stesso dal primo fotogramma.

Parlare dell'ormai stra-nota parentesi cinematografica di Roberto il Non-Morto risulterebbe in realtà fuori luogo per recensire un suo qualsiasi altro disco, ma a mio parere in questo caso diventa necessario: questo suo ultimo lavoro in studio, datato 2006, nasce infatti dopo l'esperienza dietro alla macchina da presa e quindi si porta dietro tutto un mood e un bagaglio tipicamente cinematografici.

In questo senso le tematiche del disco non hanno subito grossi stravolgimenti, dal momento che Rob ci ha sempre abituati a considerare i suoi album come mini-film, almeno in senso narrativo. Semmai si è allontanato definitivamente dalla fantascienza frivola anni '50 in stile "Ed Wood" per andare ad indagare un altro underground a lui molto caro, quello dei freak shows e dei carnevali ambulanti, come suggerito anche dall'artwork e da almeno una canzone, la suggestiva "The Death Of It All".

Tornando alla musica, i tempi si fanno più dilatati ed introspettivi mentre la forma-canzone diviene più "tradizionale", favorendo al classico metal un po' truzzo e ballabile un'atmosfera quasi hard-rock. Questo avviene minimizzando gli inserti e campionamenti elettronici ad un paio di gemiti femminili nel super-singolone "Foxy Foxy" e alla solita intro di dialogo rubato a non si sa quale vetusto film horror. Nel complesso Rob non fa che esternare il suo amore spropositato verso gli anni Settanta, che se nelle opere precedenti si esprimeva per lo più in un gioco di infinite citazioni di film e cronaca nera del decennio in questione ora si espande alla musica vera e propria.

Di "Zombesco" in questo disco c'è infatti solamente la voce, che rimane per lo più invariata dagli anni Ottanta, mentre tutto il resto ha subito un drastico sconvolgimento anche grazie all'entrata nelle file di John 5 (se dico ex-Marilyn Manson non fuggite, please), dotatissimo axeman dal tocco particolare che assume qui un'impostazione quasi "retro", ben esemplificata in pezzi come "The Scorpion Sleeps" (già un CLASSICO) e le due semi-acustiche, la già citata "The Death Of It All" e "The Devil's Reject" (quest'ultima ispirata ai protagonisti del film omonimo) dal vago sapore quasi western. Non mancano brani più tirati, probabilmente pensati per dare il massimo in sede live (in cui il Nostro eccelle), come le godibilissime "American Witch", "Let It All Bleed Out", "Ride" e la conclusiva, devantante "The Lords Of Salem".

In definitiva, ameno per chi scrive, un buon album. E soprattutto, in un universo metal sempre più affollato di sottogeneri e trend passeggeri, volete mettere la soddisfazione di poter finalmente definire un album semplicemente "HEAVY METAL"?

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