Davvero un bel sogno americano quello di Robben Ford: californiano, figlio d’arte, ha studiato la chitarra da quando aveva 13 anni e, con il suo primo strumento, avuto all’età di 18, si subito unito alla blues band del padre Charles.
In modo graduale, ma apparentemente con non eccessive difficoltà, è salito in vetta: ha formato una sua band ed ha iniziato a incidere nel ’72 (“Discovering The Blues”), contemporaneamente, come ogni jazzista che si rispetti, ha svolto un’intensa attività di session-man con numerose collaborazioni illustri, tra cui la più significativa è sicuramente il tour con Miles Davis nel 1986.
Alla fine degli anni ‘80/inizio ’90 raggiunge la popolarità internazionale.
Ford è dotato di uno stile chitarristico molto personale, che combina fondamentali blues con i virtuosismi del jazz denotanti la sua non autodidattica; unendo tali caratteristiche all’indubbia bravura del bassista Roscoe Beck e a batteristi sempre di prim’ordine ha portato la band ad eccellere nel panorama della musica fusion. Oltre tutto è da non scordare che, sia per Robben che Roscoe Beck, la Fender possiede strumenti personalizzati e firmati.
Passando a parlare dell’album, comincio col dire che il sottoscritto ha ascoltato interamente soltanto questo, “Handful Blues” e “RF & The Blue Line”.
Ho deciso di recensire questo perché è quello che ritengo meno scontato, meno easy-listening e più intenso (parere a quanto pare ampiamente condiviso, dato che il suddetto album è disco d’oro 1988).
Si tratta di un album diviso equamente tra jazz, blues tradizionale e tracce leggermente più spinte, sul rock’n’roll, tra queste annoveriamo la seconda “Wild About You” e la veloce “Got Over It”, le più corte nella tracklist.
Interessanti poi le due cover: “Help The Poor” di Charlie Singleton e soprattutto “Born Under A Bad Sign” di Albert King, qui rifatta in versione rythm’n’blues con annessi fiati.
Non mancano neanche i richiami alle origini con “Ain’t Got Nothin’ But The Blues”, lento ritmo da night e assoli sofisticati.
Il capolavoro dell’album lo troviamo però sul versante jazz-fusion, “Revelation” è un concentrato di tecnica e melodia che coinvolge l’ascoltatore ad un livello estatico, regalando emozioni raffinate.
Quattro anni fa circa ebbi la fortuna di andare a vedere un concerto di Robben Ford al Teatro Smeraldo di Milano, mi ricordo che c’erano anche alcuni elementi importanti del panorama blues milanese e italiano, il grande Fabio Treves in testa, ma questo non c’entra un piffero.
Lo spettacolo fu d’effetto, anche se mi rimase l’idea di un artista dalla tecnica straordinaria,ma dall’atteggiamento un po’ prezioso.
Detto questo per puntualizzare, concludo col dire che trovo Robben Ford un musicista sia piacevole all’ascolto che utile per scopi didattici, anche per le parti di basso del magistrale Roscoe Beck, e inoltre mi sembra un ottimo punto di riferimento per molti aspiranti.
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