Ideale sottotitolo: Deal-with-it.

Il buon vecchio Robbie è più o meno l’archetipo ideale di superstar/popstar al maschile per come la intendo io: carisma, fascino, la giusta dose di faccia da schiaffi, e soprattutto ha sempre proposto (almeno per quello che conosco io, cioè fino al 2007/2008 circa) un Pop di buona fattura e soprattutto con connotazioni inequivocabilmente britannico-europee, quindi già di per sé migliore di qualsiasi “controparte” d’oltreoceano. Ottimo interprete, dinamico, eclettico, mai svenevole, diciamo che sono perfino disposto a perdonargli certe collaborazioni con una tale sciacquetta australiana, pensate un po’, dopotutto il business e business e lui è un gran figo.

Un gran figo… uhm… ditemi un po’, esiste forse un genere musicale capace di incarnare il concetto di “figo” nella sua accezione più classy meglio dello swing? Suvvia, già il nome basta a evocare un immaginario visivo inconfondibile; brillantina, champagne, un’attitudine bon-vivant, superficiale quanto basta, di cui tutti avrebbero bisogno, nella giusta misura, almeno secondo me. Io se non altro non me la faccio mai mancare per quanto posso.

Con questi presupposti, ritengo “Swing When You’re Winning” del 2001 il punto più alto della carriera di Robbie, almeno da un punto di vista puramente interpretativo. Un’impeccabile collezione di standards interpretati con una perfetta attitudine da entertainer/cabarettista. Ci sta dentro alla grande, lui, melodie intramontabili come “Mack The Knife”, “Things” e “Ain’t That A Kick In The Head” gli calzano come un guanto, e tra l’altro si tratta di perfette cartine al tornasole per valutare lo spessore di un interprete: ve lo immaginate qualche parvenu made in disney qualsiasi alle prese con roba del genere? Eh eh eh…

Tra performance di tono più smooth come “They Can’t Take That Away From Me” e “One For My Baby”, un'introduzione pomposa e broadwayana quanto basta come “I Will Talk And Hollywood Will Listen” e un paio di singoli impeccabili, “Somethin’ Stupid” e “Mr. Bojangles” il tempo vola via con assoluta classe e leggerezza, raggiungendo gli apici in un paio di squisiti moment di puro cabaret, “Me And My Shadow” e soprattutto l’impagabile “Well, Did You Evah!”, capolavoro di porteriana memoria.

Gran bella cosa sarebbe se le cosiddette stars fossero tutte come Robbie, capaci com’è lui di intrattenere, con un occhio di riguardo per la classe e lo stile, per tradizioni come quella celebrata in questo album. Robbie è forse l’ultimo erede, ovviamente figlio dei suoi tempi, ovviamente con le debite proporzioni, della stirpe dei Freddie Mercury, degli Elton John, forse dei George Michael, oppure dei Ron Dennis e dei Frank Williams, dei James Hunt e dei Jenson Button, tutta gente che ha a suo modo contribuito a dare un’immagine inconfondibile (e invidiata, per buone ragioni) alla Perfida Albione. Che Dio e la Regina l’abbiano in gloria.

Ora, come buona norma, dovrei chiudere con dei versi in grassetto; direi che in questo caso

“What a swell party this is!”

Potrebbe bastare.

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