Robbie, l'ex ragazzaccio fra l'eccesso, lo scandalo e l'euforia, si è ormai calmato nella sua calda magione di sposo e padre quasi quarantenne. Anche se molti preferiscono ricordarlo come la popstar maschile più eccentrica del firmamento mainstream, eclettico camaleonte non solo a livelli estetici e d'abbigliamento, acerrimo nemico dei fratelli Gallagher e unico umano in grado di sbarazzarsi dei propri organi e della propria conformazione epidermica rimanendo vivo e vegeto sulla pista da ballo, il signor Williams pare ormai dimentico di quel brillante passato da spaccone trasgressivo, non pago di controversie e milioni di copie vendute. Galeotta, in ordine cronologico, è stata l'acclamata reunion con i Take That (dai quali si era affrancato appena ventenne per intraprendere la propria avventura solista), reunion probabilmente attuata a seguito del lucroso successo del comeback di Gary Barlow e soci nel 2006.

A tre anni dall'ultimo lavoro in studio Reality Killed The Video Star e a due dal rientro nell'antica band con Progress, Robbie Williams propone la sua ottava creazione, Take The Crown, disco che, benché uscito nel pieno della metamorfosi appagata dell'artista, pare essere invece una sorta di ritorno ai sound del debutto o almeno dell'alba solista. Abbandonata l'aura spirituale-new age di Intensive Care e la poco apprezzata - sia criticamente che commercialmente - malandrina svolta elettro-hip hop-grime di Rudebox, il piccolo Robert si ri-accoccola al rock energico, dinamico e vibrante di tanti anni fa, e agli effluvi brit-pop di fattura eminentemente made in UK. Questa scelta di sound, già intrapresa con il precedente Reality Killed The Video Star (che comunque rimaneva un discreto minestrone di molteplici scelte musicali), trova qui il massimo compimento, forgiando una tracklist di brani semplici, accattivanti e sinceri, sebbene privi del leggendario vigore di Feel, Millennium e Rock Dj.

Il primo estratto, Candy, ennesima collaborazione con l'amico-collega ritrovato Gary Barlow, non fornisce un'idea precisa e ottimale di quello che l'album è veramente e regala un bizzarro mix funky-dance sfacciato (con tanto di surreale clip di accompagnamento) quasi a ricordare i tempi del Robbie birichino e scanzonato. Sulla medesima scia nostalgica e malinconica si piazza la ballatona synth-oriented Be a Boy, seguita a breve distanza dalla più convincente e corposa Different, a tinte folk-melodiche, e dalle struggenti schitarrate di Into The Silence. Si gioca dunque a fare i rockettari glam-torbidi nel delirio da palcoscenico di Hey Wow Yeah Yeah, aggiungendo distinti motivetti eurodance simil Goldfrapp in Shit On The Radio, come pure la pacatezza solare country per Losers e connubiando ancora sprazzi elettronici 80s e rock vintage in All That I Want.

Uomo maturo e un po' invecchiato, stanco di stramberie e scandali da rotocalco di quart'ultima fattura, Robbie ha deposto le armi della stravaganza artificiosa abbracciando la tranquillità del divenire, il confort di una carriera a nove zeri, la pace fatta con i colleghi ex nemici e l'amore di una famiglia appagata e felice. Take The Crown, lontano dall'inquietudine e dall'ebbrezza dinamitarda di un giovincello in lotta contro tutto e contro tutti, è la dimostrazione di come l'abbandono dell'eccesso non vada per forza a braccetto con il pensionamento artistico coatto. Forse, per i nostalgici del ragazzotto sperduto fra il tight alla James Bond, il nudismo scheletrico e l'abbordaggio swing-retrò della bella Nicole Kidman il Robbie Williams paà/marito/Take That ritrovato parrà un traditore dei tabloid, tuttavia la breccia nel cuore delle classifiche e degli estimatori e vecchi/nuovi irriducibili aficionados è quasi fatta.

Robbie Williams, Take The Crown

Be a Boy - Gospel - Candy - Different - Shit On The Radio - All That I Want - Hunting for You - Into the Silence - Hey Wow Yeah Yeah - Not Like The Others - Losers

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