Se si dovesse usare un'unica parola per definire lo stile musicale di Robert Pete Williams, questa parola potrebbe essere: primitivo.
Sì, perché il country blues di Williams non lascia scampo, è asciutto, duro e crudo, di un'autorevolezza tale da poter risultare ostico per un neofita di blues, perché Pete non fa musica per compiacere il pubblico, per lui la musica è il modo più autentico per affondare una zampata nell'anima dell'ascoltatore e per fare i conti con se stesso e con il mondo.
Questi conti cominciò a farli nel 1956 quando, incolpato dell'uccisione di un uomo durante una rissa, finì nel penitenziario di Angola, nella Louisiana. Williams ha sempre sostenuto che uccise l'uomo per legittima difesa, ma non fu creduto. Nel '58 ancora in carcere incomincerà, grazie a Harry Oster e Richard Allen due etnomusicologi, a registrare le sue prime canzoni, poi contenute nel bellissimo disco "Those Prison Blues", che verrà però stampato solo nel 1963. All'inizio del 1959 Pete fu scarcerato ma con l'obbligo di lavoro presso una fattoria in cambio di solo vitto e alloggio. Nonostante il duro lavoro e le rigide regole della libertà condizionata nel 1960 Williams inciderà per la Prestige/Bluesville un disco dal titolo emblematico e cinicamente ironico, ovvero questo "Free Again", l'album contiene tutte canzoni tradizionali, ma riarrangiate in maniera decisamente personale da Robert.
Già con la bellissima title track che apre il disco, Williams sfodera il suo canto cavernoso dal sapore millenario, mentre la sua chitarra acustica ha un suono delicato e ricercato, ma allo stesso tempo incisivo e penetrante, la sua 6 corde difficilmente ripete una frase nello stesso modo, cerca sempre di infondere un carattere pereciso ad ogni nota che esegue.
Tra gli esempi migliori di questo suo modo di suonare, per me, sono le splendide "Almost Dead Blues" e "A Thousand Miles from Nowhere" in quest'ultima canzone Robert ci fa intendere come per lui sia difficile uscire dalla condizione di prigioniero perché questo è anche uno stato mentale.
Un altro dei miei pezzi preferiti è "Thumbing a Ride", dal suono polveroso e spettrale, dove Pete si aggira per le strade di una città ma ha la sensazione di essere invisibile agli altri.
Il disco capitò anche nelle mani di Captain Beefheart e il sound lo colpì così tanto che nel suo "Safe as Milk" del '67 inserirà, da questo lp, una bella versione di "I've Grown So Ugly".
Con "Free Again" Williams dà vita ad un album che non lascia scampo: straziante, desolante e amaro, che mostra un'anima sola, intenta a liberare tutti i fantasmi che si agitano al suo interno.
Un disco non facile, come ho già detto all'inizio e non per tutti, ma se riuscite ad entrare nella sofferente poetica di Robert vi toccherà nel profondo.
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