Thomas Leer e Robert Rental, due musicisti elettronici di discreto talento, decidono nel 1979 di trasferirsi dalla Scozia in Inghilterra, per respirare meglio l'aria nuova del post-punk. I due presero particolarmente a cuore le intuizioni di Brian Eno sulla forma canzone e sul suo sviluppo in studio. Inoltre erano dei grandi ammiratori dei corrieri cosmici tedeschi, oltre che della psichedelia di Barrett e delle vignette genialoidi di Kevin Ayers. Uniti da questa passione comune decisero di comporre un disco insieme. La cosa difficile era trovare un'etichetta, ma tutto si aggiustò con l'intervento della Industrial Records, la mitica label fondata dai Throbbing Gristle. Furono loro in persona infatti, che ascoltati alcuni demo-tape, incoraggiarono al lavoro il duo. Restava solo un problema: Rental aveva in mente un disco ambient, mentre Leer voleva sviluppare un lavoro di sole canzoni. La soluzione? Dividere a metà il disco, sulla falsariga del David Bowie berlinese, e cioè dedicare il lato A alle canzoni e quello B alle sperimentazioni ambient.
Dopo un lungo travaglio, "The Bridge" vide finalmente la luce. Cosa ne venne fuori? Ne venne fuori un disco strano, contenente ottime intuizioni ma anche varie banalità. La prima parte, è sicuramente la meglio riuscita, trattasi infatti di cinque brani di synth pop sperimentale e straniante, influenzato dalle cacofonie industriali e dall'avanguardia dei Tuxedomoon. La registrazione del disco è volutamente in low-fi, con rumori bianchi che oggi chiameremmo "glitch", voluti appositamente dai due. A conferma di ciò il retrocopertina mostra una dicitura molto chiara: "All blips click & un seemly noises were generated by refrigetors & other domestic appliances & are intrinsic to the music". Si, avete capito bene, questi sfruttavano il ronzio degli elettrodomestici per ottenere quel rumore di fondo continuo che in altri casi disturberebbe, ma che qui è parte integrante del lavoro. Lo spirito era infatti molto simile a quello di Eno, manipolare cioè lo studio di registrazione come uno strumento. Il disco venne registrato "at home" con un registratore ad otto tracce, sempre sotto la supervisione dei Throbbing Gristle.
Il paesaggio grigio e spettrale della copertina si ritrova all'interno sotto forma di suoni. Allo scoccare di "Attack Decay" infatti, si viene proiettati in un incubo che si dipana tra avanguardia cerebrale e musica industriale. I synth imbastiscono trame raggelanti e asettiche, tra soffi di vento, balbettanti note di tastiere, ed una voce alienata ed atterrita. Insomma un balletto meccanico grigio e malato, come la migliore tradizione dell'industrial-dark britannico. La seguente "Monochrome Day" è un'altra marziale danza ipnotica, generata sempre da un suono grezzo, decisamente sporco. Le visioni cibernetiche di "Day Breaks, Night Heals" si dimostrano ancora più claustrofobiche con riverberi gommosi ed un cantato robotico e impersonale. Il ritmo sparisce per incanto ed implode nel terribile incubo cosmico-futurista di "Connotations", con tanto di freddissime nebulose elettroniche e inquietanti rumori sparsi. La fabbrica della morte dei Throbbing Gristle schiude le porte di "Fade Away", doveroso omaggio alla band di Sheffield, devastante nelle sue martellanti cacofonie. Il primo lato termina qui.
Adesso, è la volta di viaggiare negli spazi siderali dell'ambient. Ma intendiamoci, non è un ambient alla Brian Eno, è piuttosto un campionario di rumori trovati, sia concreti che artificiali, straniati da fasce elettroniche ed effettismi vari. La qualità scende rispetto alla prima parte, le idee non sono molte, e quelle che ci sono si protraggono troppo a lungo sino a diventare ripetitive. L'episodio migliore resta non a caso il più breve, e cioè "7/six A.M." dove in tre minuti si riscontrano anni di sperimentazioni cosmiche. In sostanza il brano suona come se i Tangerine Dream si fossero dati all'industrial. L'effetto è ottimo, una pulsione che va e viene tra scampanii minacciosi ed algide frequenze elettroniche. Davvero inquietante.
Se volete farvi un'idea dell'atmosfera irripetibile che si respirava nell'Inghilterra di quel periodo, e possedete già (ed apprezzate) i capolavori dei Cabaret Voltaire e dei Throbbing Gristle, procuratevelo. Non è un capolavoro, ma è sicuramente meritevole di un ascolto attento e ragionato.
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