Nel panorama del film noir degli anni d’oro, Phantom Lady è una rarità. Girato nel 1944, anno in cui uscirono capolavori del genere come il celeberrimo Double Indemnity, il film non ha per protagonista un detective privato o il classico perdente, ma una donna e ancora più eccezionalmente, non una femme fatale, bensì una semplice segretaria che si butta a capofitto in un'indagine per salvare il suo capo, Scott, dalla pena di morte.

L’ingegnere Scott Henderson, dopo un litigio con la moglie, va in un bar, dove conosce una donna misteriosa con cui trascorre la serata a teatro. Al suo ritorno a casa, trova la moglie strangolata e, ovviamente, tutti i sospetti ricadono su di lui.

Con un tocco di spietato realismo, né il barista né il tassista che ha incontrato quella sera si ricordano di lui, e Scott finisce nel braccio della morte. L’unica a credergli è la sua segretaria, Carol - interpretata dalla bella Ella Raines, una delle sottovalutate icone femminili del noir, al pari di Lizabeth Scott. Carol avvia un’indagine personale sapendo che la chiave della difesa consiste nel trovare la misteriosa donna che ha trascorso la serata con Scott, ma nessuno conosce il suo nome. Carol si reca al teatro per parlare con i musicisti, nella speranza che qualcuno di loro l’abbia vista o possa conoscerla. Ne scaturiscono sviluppi imprevedibili e un finale a sorpresa.

Pur mancando di un elemento chiave del noir - la femme fatale - il film contiene due scene iconiche del genere. La prima è quella in cui Carol pedina, di notte e sotto la pioggia, un possibile testimone. Il buio più cupo, squarciato da lame di luce, il rumore sinistro dei tacchi sull’asfalto, le strade appena illuminate: tutto prelude a una dipartita imminente.

La seconda scena è un classico per i cinefili: l’assolo di batteria di Cliff, interpretato da Elisha Cook Jr., altro volto iconico del noir. Mentre suona, Cliff fissa Carol, agghindata in modo provocante; si interrompe un istante per baciarla lascivamente, poi riprende a picchiare sempre più freneticamente sui tamburi, come se stesse per esplodere di lussuria. Il ritmo accelera, e la sua espressione non lascia adito a dubbi su quello che sta succedendo, fino all’apice della scena.

Da vedere per credere: sembra quasi impossibile che una scena talmente erotica da essere definita “un rapporto sessuale tra due persone vestite” non sia stata censurata.

Non sorprende l’audacia e la maestria della regia, firmata da Robert Siodmak, cineasta tedesco il cui primo lungometraggio fu il notevole Menschen am Sonntag (1930), scritto, tra gli altri, con Billy Wilder. Rifugiatosi negli Stati Uniti perché ebreo, Siodmak diresse altri classici del noir, tra cui il più celebre The Killers, con Burt Lancaster e Ava Gardner. Un maestro del genere, capace di trasformare l’oscurità in puro cinema.

Disponibile gratis - purtroppo in versione “colorata” - su Internet Archive (a non-profit library of millions of free texts, movies, software, music, websites, and more)

Carico i commenti...  con calma