Tratto da L'incubo di Hill House di Shirley Jackson, Gli invasati è una storia di fantasmi classica che più classica non si può, ed un epigono del sottogenere sulle case infestate.

In una villa del New England famosa per le morti violente dei suoi abitanti, il professor Markway (Richard Johnson), antropologo e studioso di parapsicologia, riunisce tre persone per verificare gli effetti paranormali del luogo: Luke (Russ Tamblyn), l'erede della proprietà, Theodora (Claire Boom), una lesbica dotata di poteri medianici, e la mitomane Eleanor (Julie Harris), convinta di essere la responsabile della morte della madre. La situazione, fin dall'inizio carica di tensione per l'atmosfera diabolica della villa e per le turbe mentali di Eleanor, precipiterà con l'arrivo della signora Grace (Lois Maxwell), la moglie del professore, fino al tragico finale.

Noto per essere uno dei più eclettici professionisti di Hollywood (suoi sono, fra gli altri, il film tratto da Star Trek e i musical West Side Story e Tutti insieme appassionatamente) Robert Wise è stato anche un eccellente regista di horror: e questo gioiello del 1963 reca senza dubbio i segni dell'apprendistato di Wise presso il produttore Val Lewton, rinomato per il suo stile allusivo, evocativo, giocato tutto sul dubbio e sull'incertezza più che sul palese disvelamento dell'orrore. Così per tutta la durata del film non assistiamo mai a degli eventi soprannaturali veri e propri (ad eccezione della sequenza della porta che si gonfia), ma soltanto alle reazioni terrorizzate dei personaggi. La storia - come vogliono le regole dei racconti fantastici ottocenteschi - rimane fino alla fine in bilico fra razionalità e immaginazione, obiettività e soggettività, e non ci verrà mai chiarito se quanto sta accadendo è davvero dovuto agli spettri che invadono Hill House, o soltanto alla fantasia sconvolta della protagonista.

Come in certi film di Polanski (e la fragile e spaurita Julie Harris non può non far pensare a Mia Farrow), ad essere realmente al centro dell'attenzione del regista sono le dinamiche spesso ambigue, fatte di attrazioni incrociate e gelosie, che si creano fra i personaggi del gruppo. Certamente memorabile è lo scavo psicologico compiuto su una figura complessa e sfaccettata come quella di Eleanor, la cui progressiva deriva mentale viene rappresentata con grande finezza, complice la sensibile interpretazione dell'attrice.

Tutto ciò non va però a scapito della tensione, che si mantiene elevatissima per tutto il film, nonostante qualche lungaggine e qualche dialogo superfluo. Wise, ex montatore, riesce a spaventare facendo un uso accortissimo delle inquadrature, e costruisce momenti ancor oggi terrorizzanti semplicemente riprendendo un'ombra che si muove, il viso di una statua, un incisione sul muro. Né vanno dimenticati gli apporti fondamentali della colonna sonora (un autentico campionario di spaventi: rumori improvvisi, cigolii, voci spettrali, dissonanze) e della bellissima fotografia in b/n.

Un film così memorabile non poteva ovviamente non essere rovinato da un remake: che è puntualmente arrivato nel 1999 ad opera di Jan De Bont, un giocattolone a base di effetti speciali e chiassoso grand-guignol digitale capace soltanto di far rimpiangere l'angosciosa e raffinata costruzione dell'originale.

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