Un omicidio dal movente ignoto, avvolto nel mistero; ricordi velati dall’ipersensibilità traumatizzata di due giovani drammaticamente testimoni di una disgrazia familiare che ha lasciato tracce indelebili nella loro psiche. E’ un intreccio continuo di eventi che sembrano quasi spiegarsi da soli tramite una sequenza di immagini emotivamente cariche, che si alternano a momenti dov’è tangibile l’affetto perduto dei cooprotagonisti Leo e Ale. Una memoria, quella di Ale, che ha voluto cancellare una verità tanto atroce quanto inaccettabile sull’omicidio della madre che viene ricostruito con abili flashback del regista Roberto Andò, ed immersioni nei ricordi di Leo, psicanalista oppresso da un passato che non lo lascia in pace , e che gli fa avvertire tutto il suo peso.
Già dal titolo, “Viaggio segreto”, si può ben intuire l’intento del regista che non è meramente quello di chiarire un caso irrisolto, o di giungere semplicemente al teatrale scioglimento della tensione, bensì quello di farci entrare “segretamente” nella parte più oscura della mente umana, una parte freudianamente definibile “ai limiti del cosciente”; così, mentre Leo si reca nella casa natia, dove ebbe luogo il misfatto, sita in una Sicilia, per il protagonista come per il regista trasbordante di ricordi, lo spettatore fa un’incursione a ritroso nella vicenda, fino a sentirsene partecipe, fino a percorrere i segreti vicoli dell’inconscio dei protagonisti.
E nel finale, una sorpresa inaspettata per lo spettatore, dove il magistrato padre di Leo e Ale, che fino ad allora era apparso come colpevole del delitto, viene assolto se non altro dal pubblico. E’ qui, nel sorprendente finale, che Andò fa venire finemente a galla il messaggio di tutto il film, che ha come oggetto la terribile realtà di due “figli perduti”, che, secondo il conclusivo flusso di coscienza del protagonista, in fin dei conti siamo un po’ tutti.
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