"La vita è bella"

Prendi una tragedia immane, la più grande del XX secolo, tienila sullo sfondo più che puoi, e fino a quel momento preparati a raccontarla seminando qua e là pezzi di humour che ti verranno buoni alla fine, quando sarà il momento di mostrarla in tutta la sua atrocità, quando sarà il tempo di raccogliere lacrime. Trova per la tua opera un titolo, il titolo più facile e infantile che ci sia, tipo "la vita è bella", e servila giusto giusto per Natale. Una volta scossa l'Italia, una volta carpita la benedizione degli europei e della comunità ebraica, parti alla conquista degli Usa, dove gli ebrei contano davvero, specie al cinema. E forse vincerai l'Oscar.

Da ragazzo ho sempre amato Benigni, la sua irriverenza, il suo essere sempre fuori posto, il suo modo lieve di dissacrare luoghi e mostri sacri ovunque facesse irruzione. Il mio rapporto con lui s'è incrinato dopo il film con Troisi: lì ho capito chi e che cosa fosse un comico, lì ho inteso che il napoletano giocava d'istinto, mentre il toscano 'ragionava'. Spacchettando "Non ci resta che piangere" nelle sue scene, quelle che fanno davvero ridere, quelle memorabili sono invenzione di Troisi, hanno tutte l'accento napoletano. Benigni ? costretto dal dilagare dell'altro sulla scena, 'dal vivo' - si assume suo malgrado il ruolo di fratello maggiore, limitandosi a dignitosa spalla, riportando continuamente Massimo nell'alveo della razionalità, sui binari prescritti della trama da cui l'altro perennemente sfuggiva. Un comico raziocinante, quindi, intelligente ai massimi livelli, ma freddo, calcolatore, ipocrita.

E "La vita è bella" è il suo acme, il capolavoro dell'ipocrisia cinematografica e artistica, dove ogni tratto della sceneggiatura, ogni battuta, ogni vezzo è subordinato alla questua della pietà dello spettatore. Il meccanismo stra-abusato della battuta che prende forma completa due scene dopo. Il film ne è infarcito, vedi quella del cappello sotto casa di lei. E' il paradigma di una comicità mai spontanea, ma incanalata sempre a ottenere l'effetto preordinato: il dizionario dice 'molcire'. Tutto questo è sopportabile in filmetti come "Il piccolo diavolo" o "Il mostro", ma qui si sono usati gli stessi infimi mezzucci dentro un contesto in cui non si può far solo finta di entrare con il cappello sulla testa per vedere l'effetto che fa, perché la chiesa, stavolta, è 'troppo sacra'.

Accostare il tragico alla commedia è un'arte sublime, bisogna essere degli incoscienti solo per ipotizzare di farlo, il Don Giovanni Mozartiano sta lì per questo, come un assoluto. Un incosciente vero avrebbe profanato anche l'olocausto, sarebbe entrato in chiesa nudo, rendendoci intatta tutta la forza della tragedia e senza chiedere le nostre lacrime, senza puntare alla benevolenza degli ebrei di Hollywood. Farlo come lo ha fatto Benigni è abominio. E "La vita è bella" è solo questo.

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