Pinocchio nell’Italietta Post 2000…

Stavo scrivendo la recensione del "Pinocchio" di Comencini quando, nel dubbio che non mi venisse pubblicata su questo sito (in realtà è uscita come serie televisiva e già una volta non mi è stata pubblicata una recensione di un serial TV) ho sterzato, mio malgrado, su questa scivolata pacchiana e glaciale del "Pinocchio" ad opera di Roberto Benigni.

Stesso tema, due mondi, due momenti storici, due modi di concepire il cinema, due filosofie quasi in antitesi.

Le Avventure di Pinocchio di Luigi Comencini (1971) era fondamentalmente povero, un Pinocchio-Rom, discolo, straccione, ribelle vero (il piccolo Andrea Balestri pare non ne volesse saperne di studiarsi il copione a memoria!) in un’Italia altrettanto semplice ma legata fortemente alla realtà dell’epoca e con sentimenti veri e ancora esprimibili con poche parole e piccoli gesti. Storia naif fatta di cose autentiche dove il pane lo senti che è pane e i viali impolverati sanno di polvere vera.

Quello di Benigni (2002) è un Pinocchio ricco, quasi interamente ricostruito in studio con scenografie ricchissime (di Danilo Donati) in un’Italia patinata che non esiste, con personaggi iperbolici e grotteschi, luci e fotografia da sogno (di Dante Spinotti) e dove il protagonista è un 40enne burattino, che gioca a fare l'idiota ma con pochissimo spessore umano. Un Pinocchio irreale, saltimbanco e giullare, assolutamente freddo nella sua incapacità di comunicare dei sentimenti autentici: semplicemente una marionetta di carne e niente più.
Potrei andare avanti per un’ora in questo parallelismo tra i due Pinocchi e le due società di cui sono figli (l’Italia dei primi anni ‘70 e quella dei luccicanti anni 2000) ma mi soffermerò su quest’operetta da due soldi (metaforici) di Roberto Benigni.

Un regista altalenante quest’ultimo, sul mediocre andante che, come attore, a mio avviso, ha reso assai poco al cinema mentre ha avuto un suo picco di fama da gran mattatore in televisione: il suo vero habitat naturale. Benigni è un’animale da palcoscenico che NON PUO’ essere imbrigliato da copioni o sceneggiature. Lo si è capito dopo aver visto tutti i suoi filmetti poco più che dignitosi. Qui si “vede” immediatamente che finge e quando finge perde la sua carica di spontaneità pura e anarchica che è sempre stato il lato bello del suo personaggio.

Così in questo Pinocchio-fighetto vestito di tutto punto, con un cast stellare e un budget 10 volte del corrispettivo usato da Comencini, ritroviamo si la fiaba originale di Collodi ma tra tanto sfavillio e lustrini si è persa completamente l’umanità e la poesia. Si fatica ad accalorarsi a questo Pinocchio mezzo uomo e mezzo pirla, fintissimo dall’inizio alla fine, a una Fatina Turchina (ancora questa benedetta Nicoletta Braschi?!?!) per nulla affascinante e seducente come un gambo di asparago o un Kim Rossi Stuart-Lucignolo troppo ordinatino e fascinoso in un ruolo poco credibile per conquistarci fino in fondo. Per non parlare delle “comparsate” di un Geppetto- Giuffrè praticamente inesistente e senza personalità (vogliamo paragonarlo alla Grandissima prova di Nino Manfredi?!) e dei Fichi d’India (il Gatto e la Volpe) davvero penosi e imbarazzanti.

Un film borioso che ci vorrebbe incantare con mille effetti speciali (la carrozza iniziale guidata dai topi però è davvero impressionante!) ma che dopo pochi minuti mostra già la corda di un racconto nato vecchio senza verve, senza umanità, con momenti di commozione forzata più inclini alla soap-opera che a un film. Dove tutto risulta eccessivamente levigato, patinato, precisino ma che alla fine… annoia profondamente. Non c’è partecipazione attiva nella narrazione, non c’è pathos ma una semplice carrellata asettica di episodietti privi di alcuna tensione narrativa, narrati per altro da un Benigni con la voce petulante e stridula da finto-ragazzino davvero insopportabile. Una sequenza di schetch ingessati buoni giusto per il Bagaglino con qualche rara invenzione cinematografica degna di nome (il pezzo di legno animato, il finale con l’ombra che si rifiuta di andare a scuola e pochi altri guizzi).

Mi fa tristezza vedere uno come Benigni, che ho ADORATO in l’Altra Domenica o nei suoi rari interventi anarchico-sovversivi in TV, ridotto a fare il guitto a comando per bambini, completamente prono ai servigi del Dio Denaro pure lui come quest’Italia post 2000, asservita completamente all’Auditel, ai Briacucci, al BerlusconStyle e ai Lacchè di ogni credo e partito. Un film nato con l’intento di sbancare a Hollywood e di fare manbassa di premi che, alla sua uscita, cannibalizzò le sale dell’intera penisola con centinaia di copie sparse e un battage pubblicitario senza precedenti… un film che nonostante tutti gli sforzi, verrà dimenticato presto dalla Storia del Cinema Italiano a contrario del povero Pinocchio di Comencini, che fa ancora la sua porca figura.

Benigni: Tiè! ciapa e porta a casa....

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