Confesso subito che non ho una conoscenza approfondita di Roberto Vecchioni. Mea culpa, ha tutto per piacermi: bella voce profonda da chansonnier francese, interista sfegatato, testi pieni di poesia, riferimenti culturali a me vicini. Ma in realtà ho solo una raccolta e questo disco, che credo mi fu regalato. Ottimo regalo comunque: Blumùn è un bel disco. La partenza in particolare è clamorosa, con un uno-due, anzi un uno-due-tre da restarci secchi: Blumùn, Angeli ed Euridice sono tre grandi pezzi. Poi l'album, nei successivi sette brani, presenta alti e bassi, fino alla traccia finale, che riprende il tema di Blumùn.
Avete presente quella scena in quel film di Moretti, "Aprile", in cui uno scassacazzi mascellone va da Nanni con un metro a nastro, glielo srotola davanti e più o meno gli fa: "Questo è un metro, 100 centimetri", e prosegue: "Quanti anni è che vuoi vivere? Settanta, settantacinque?" "Ottanta". E quindi lo finisce, perfido: "Ottanta, allora tolgo venti, e questo è ottanta; oggi compi quarantaquattro anni, quindi devo andare fino a qua, ecco guarda: questo è quello che resta... auguri comunque". E se ne va, lasciando il Nanni attonito a guardare quanto sia corto il moncherino di metro rimasto. Ecco, Blumùn, andamento blues e bel pianoforte, parte da una considerazione simile, il tempo passato e il poco tempo che resta, ma la sviluppa serenamente, affidando alla voce ironica di Gene Gnocchi (grandissima scelta!) il ruolo del mascellone, in questo caso niente meno che Dio, per nulla scassacazzi e anzi divertito a guardare quel figlio che non si arrende ad aspettare l'inevitabile, ma vive della voglia di vivere, godendosela e cercando di non prendersela più di tanto. E questo disco in fondo è un elenco delle cose che rendono piena e goduta la vita: gli Angeli, i ragazzi, sgraziati in modo splendido, uomini in nuce che il professor Vecchioni conosce da vicino, con i loro sogni, le ansie, le incertezze. Per non parlare della letteratura, perché Vecchioni è pur sempre un professore, con Euridice e con (titolo un poco imbarazzante) Rossana Rossana (Berg E Rac). La prima è la rilettura del mito di Orfeo ed Euridice, la storia del cantore che scese nell'Ade armato solo del suo amore e della sua cetra per sconfiggere la morte e riportare alla vita l'amata Euridice, rinunciandovi però a vittoria ottenuta, consapevole che ormai nulla potrà essere come prima. La canzone è davvero splendida, e il cambio di tono quando a un certo punto fa "e mi volterò" dà i brividi. Nella seconda si alternano a cantare la propria insoddisfazione i due protagonisti maschili della commedia di Rostand, Cyrano e Cristiano, il primo per non poter avere l'oggetto di cotanto amore, il secondo all'opposto per averlo ottenuto e non desiderarlo oramai più. La canzone in realtà non brilla particolarmente, ed è il primo mezzo passo falso dopo il fantastico trittico iniziale.
Non mi piace granché neanche la seguente Paco, canzone moscetta sull'eponimo e ahimé trapassato cagnolone del professore, con il trucchetto un po' abusato di palesare solo alla fine la natura animale del compianto. C'è un altro brano in memoriam, in fin di disco, si chiama Fammi Vedere Tu, ed è di ben altro impatto: canzone molto emotiva e struggente, piccolina e toccante, ricordo commovente e sentito di qualcuno che non c'è più.
Tra i due elogi funebri, gli altri ingredienti per la ricetta di vita à la Vecchioni: il sesso, con il divertissement Saggio di Danza Classica e Moderna (qualcuno, prima di sputtanarsi definitivamente, insegnava che "scopare bene, scopare bene questa è la prima cosa"); l'amicizia (Gli Amici Miei, fisarmonica da fiera paesana e briscola chiamata e un verso da incorniciare: "qualche sorriso di madre fa crescere in fretta, fa bene alla pelle e al cuore"); naturalmente l'amore (Il Mago della Pioggia, pezzo non trascendentale), quello rassicurante e fatto della magia semplice degli uomini con le spalle larghe, citando De Gregori; e infine, vero sale della vita, i nemici (la riuscita Tornando a Casa (Nostalgia d'Odiare)): concordo: che noia, non c'è sugo senza qualcuno che ti stia veramente sul cazzo, chessò, il leghista dello zoccolo duro o lo juventino impenitente, quello che rodi come un dannato quando vince e godi come un riccio quando perde.
Blumùn insomma è il disco di un uomo maturo e soddisfatto, in pace con se stesso e il mondo; se si vuole un disco un poco pedagogico (ebbeh, da un pedagogo...), il cui succo è: lascia perdere, la vita è un casino, al di là dell'umana comprensione. Non resta che arrabattarsi, bene o male; accetta quel che viene, quando viene e come viene; fa' quel che puoi, meglio che puoi, con passione, ironia e sincerità. E sarai un uomo sereno.
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