"Non dodici canzoni, ma una sola lunga canzone divisa in dodici momenti". Così Roberto Vecchioni definisce il suo nuovo album "L'infinito", uscito il 9 novembre 2018, omaggio all'ultimo Leopardi e alla vita. A cinque anni di distanza da "Io non appartengo più" il Professore torna con un disco disponibile solo in cd e in vinile e non sui supporti digitali, come tentativo di "resistenza culturale". E in effetti il disco suona omogeneo dall'inizio alla fine. Si comincia con "Una notte, un viaggiatore", citazione di Calvino dove si alternano parti parlate e parti cantate, per proseguire con "Formidabili quegli anni", titolo preso in prestito da Mario Capanna, dove Vecchioni rievoca il suo '68. La terza canzone è anche il primo singolo uscito: "Ti insegnerò a volare (Alex)" dedicata ad Alex Zanardi e per la quale Vecchioni è riuscito a stanare addirittura Francesco Guccini, che nel 2012 aveva annunciato il proprio ritiro! Poi c'è "Giulio", dedicata a Regeni, in cui Vecchioni lo immagina prima bambino, poi adolescente, poi uomo, e la title-track, anche questa con parti parlate, citazioni di due lettere scritte da Leopardi al padre Monaldo. L'introduzione di questo brano è forse la migliore del disco, per un infinito che si trova dentro noi, al di qua della siepe... C'è poi "Vai, ragazzo", un po' la "Sogna, ragazzo sogna" dei giorni nostri. La seconda parte del disco è incentrata invece sulle canzoni d'amore: "Ogni canzone d'amore" viene definito "un madrigale", mentre in "Com'è lunga la notte" c'è il secondo ospite dell'album, Morgan alias Marco Castoldi. Un'altra canzone d'amore è "Ma tu", leggermente malinconica, mentre nella successiva "Cappuccio Rosso" si torna alle dediche a persone come con Alex e Giulio. Il destinatario è Ayse Deniz, una ragazza curda morta per combattere l'ISIS. La penultima canzone è "Canzone del perdono", dedicata a Padre Francesco, anche se non viene mai citato, e la chiusura è "Parola", un'elegia sulla morte della parola. Vecchioni dice a tal proposito che oggi i ragazzi conoscono seicento parole, mentre dieci anni fa erano quattromila.
Il disco è prodotto da Lucio Fabbri, che fa anche da polistrumentista, con Massimo Germini e Roberto Gualdi, quest'ultimo alle percussioni veramente utilizzate pochissimo in un disco praticamente acustico.

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