Aspetto che la moka rigurgiti il caffè; penso.
Fuori è freddo, ma il cielo terso annuncia una bella giornata di fine gennaio. Seduto al tavolo in fòrmica della mia cucina provo ad imbastire qualche frase mentre penso che dovrei studiare; ma in fondo, che una trentina di minuti?
I pensieri a briglie sciolte percorrono mille sentieri che s'intrecciano tra loro come degli spaghetti in un piatto, o come i capelli di una donna sciolti al vento. Nel mare della chioma, tuttavia, si scorge un uomo su una barca a remi: indossa solo le braghe e fuma un sigaro. La città senza donne non è posto per lui. 'Stavolta parto davvero, con un vento leggero che mi soffia alle spalle; tu dormi bene il tuo sonno, dove vado lo sanno solo le stelle', ha detto, e poi è partito. Via dalla pazza folla.
L'uomo è il simpatico Roberto Vecchioni, o meglio la sua proiezione fumettistica, racchiusa nel cartone ingiallito, val la pena raccontarne la vicenda. Richiudo questa visione di cartone e riprendo da dove tutto comincia, tra i merli delle mura a picco sul mare; le mura di Montecristo.
L'anno è il millenovecentottanta, il cantautore milanese se ne esce intrepido con un lavoro ironico e ben curato, a cominciare dal pregevole art-work, con ben 128,2 dm3 circa (deformazione futuro-professionale) a disposizione del buon Andrea Pazienza per i suoi surreali disegni, cui si perdona anche il pendolo desnudo della copertina. "Montecristo" è un album forse privo di canzoni di impatto immediato, come invece capitò negli anni settanta e come sarà per molti lavori successivi, a cominciare dalla bella "Parigi (o cara)". Appare tuttavia un'opera solida e convincente, oltreché ben arrangiata, che si sorregge con una manciata di brani solidi e vagamente ironici e si completa di alcuni fregi di poesia.
Uno di questi apre l'ellepì, ed è una canzone toccante, interpretata con passione dal professore. "La Città Senza Donne" è un omaggio alla donna, musa ispiratrice per eccellenza dell'artista. Il tono è disincantato, la mente è lucida, il ricordo doloroso.
'Amore troppo vicino, amore che sei lontano solo un anno e un giorno; sei come un'ombra sul cuore, silenziosa e leggera, ma mi abituerò.'
"Ciondolo" è una lunga e surreale traccia narrante le "gesta" di un tale-non-meglio-precisato e di una lei, la cui presenza, novello coccodrillo di Peter Pan, è annunciata da un ciondolo d'oro alla caviglia.
'E allora prese molto bene la mira perché era un entusiasta, e lo fece nel preciso momento di calare la pasta. [...] E se qualcuno gli ha parlato, e se qualcuno lo ha deluso, non sono io.'
"Montecristo" irrompe con il suo arrangiamento marcato, sorretto dall'incalzante batteria del buon Walter Calloni e dalla chitarra di Mauro Paoluzzi (nomino loro per tutti, i sessionisti sono una vagonata); è un ottimo brano, dal testo ancora molto surreale condito da diversi riferimenti a sfondo sessuale e non necessariamente di coppia. Ai cori, nel lamentoso ritornello, due nomi celebri: Eugenio Finardi ed Antonello Venditti.
Il lato uno chiude con la breve "Reginella (Cinquecento Catenelle D'Oro)", in cui Vecchioni e Finardi legano assieme canti popolari del meridione e della Toscana per un gioioso effetto che fa molto ninna nanna.
"L'Anno Che È Venuto" è la tirata e pessimistica risposta ad un celebre brano di Lucio Dalla ove, tra citazioni De Gregoriane ("Rimmel") e velati-non-troppo apprezzamenti femminili, lo sconsolato cantautore guarda con disillusione e malcelato dolore alla fine di una storia.
'Caro amico non scrivermi, vado via; da stasera non abito a casa mia: il disordine arriva già fino al tetto, qui restare significa restare matto. [...] Lascio da autentico gentiluomo e, pensandoci bene, poi forse non l'amo.'
"Canzone Da Lontano" è invece una delicata ballata che narra di un uomo lontano che ha affidato la sua amata alle cure di un simpatico esercito di animali. Detta così sembra una vaccata, eppure si tratta di un bellissimo pezzo, dolce lacrimuccia dal suono forse un po' datato ma dal grande fascino.
"Il passero ti seguirà; non sarai piccola sempre, piccola sempre, ma ti seguirà, ti seguirà.
Il falco ti difenderà; non sarai debole sempre, debole sempre, ma ti difenderà, ti difenderà."
Segue "La Strega", brano virato verso sonorità più dure anche grazie al bel lavoro della ritmica. In questo simpatico calderone musicale emerge il lato fiabesco del buon Roberto, ove i personaggi vengono però estrapolati dal loro ambiente e gettati nei problemi della vita reale (che per il Vecchioni del periodo vuol sostanzialmente dire "pene d'amore").
'Principessa, va bene che donna è bello, ma il mio letto è diverso dal tuo castello. Non ti pungere ancora con l'arcolaio, non bere, non mangiare le mele.'
La bellissima "Madre" è una lettera commovente e meravigliosa, diretta a colei che più di ogni altra persona sa amare un uomo.
'Forse avresti dovuto farmi nascere vecchio, per tornare lentamente bambino: avrei avuto meno ombre da temere la notte e più voglia di aspettare il mattino. Forse... O forse dovevi farmi nascere sempre, ogni volta che facevi l'amore.'
Quei termini, "ogni volta", furono del resto buoni profeti: tempo dopo un popolare cantautore italiano attingerà molta ispirazione da questo bellissimo brano (francamente ignoro se ciò fu acconsentito o no, ma tant'è). Sicuramente il brano più emozionante di un ottimo album, piccolo gioiello.
L'ellepì chiude con il piano di Sandro Centofanti e le dolci note di "La Città Senza Donne (Finale)", sfumando lontano da Montecristo in un vento triste di mille pensieri, tra lunghi capelli intricati.
'That's all', come direbbe il simpatico seppur saccente Bugs Bunny.
'Vedi se vedi la fine, la vedi?'
Dedicato a mio papà e ad un amico speciale, sebbene "Montecribbio" non l'abbia mai digerito granché.
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