Spulciando in DeBaser nella pagina di Vecchioni dopo sua la vittoria a Sanremo, ho notato un vuoto tra “Calabuig” e “Montecristo” e mi sembrava doveroso provvedere al più presto, a dare la mia interpretazione, a questa ennesima perla vecchioniana, in uno dei suoi più rosei periodi discografici.

Autunno 1979. Il professore offre ai suoi ascoltatori un’altra delizia da antologia, dal titolo ispirato al noto naufrago del romanziere settecentesco Daniel Defoe: Robinson Crusoe. L’arrivo nei negozi di "Robinson, come salvarsi la vita" fu abbastanza sofferto. L’uscita venne rimandata di qualche mese a causa di alcuni guai giudiziari del cantautore.

Il brano che apre le danze è “Signor Giudice”, pezzo leggero e dal ritmo sincopato che viene pubblicato anticipatamente su 45 giri per promuovere il long plain. Il brano narra il suo sdegno e i suoi sfottò nei riguardi di un giudice che partito per le vacanze lo lascia per qualche tempo detenuto nel carcere di Marsala. Vecchioni venne arrestato perché accusato da un ragazzino di spaccio di stupefacenti (spinello) durante la festa dell’Unità nella località sicula, nel 1977. Verrà scagionato successivamente perché il giovane si era inventato tutto. Si prosegue con la sarcastica “Roland, chanson de geste / chanson sans geste.” Il brano prende in giro i poemi medievali che lodano a dismisura le figure di cavalieri e di eroi perìti. Le prime strofe si aprono con “le gesta” di Roland (Orlando) romanzate da suadenti voci femminili, che narrano il pianto d’amore della moglie del prode combattente a detta dei soldati saraceni, durante l'agguato di Roncisvalle dell'anno 778. Poco dopo fa il suo ingresso la base di una beguine ben ritmata, che svela il racconto “senza gesta” del personaggio, dietro al quale si cela un cinico borioso, che perisce, a detta degli storici, per semplici beghe tra la retroguardia dell’esercito e dei villani baschi armati di sole fionde. Cosicché tutto si quieta ed ecco che in un clima malinconico appare “Mi manchi”, accompagnata da una chitarra, un pianoforte e un violino, in cui torna l’autobiografismo sofferto e intimista. In quel periodo Vecchioni stava per lasciarsi definitivamente con la moglie Irene e la grande lacuna che andava a formarsi, prova a riempirla con il ricordo di Adriana, suo amore di gioventù finito intorno al ‘67-’68. L’artista realizzato, fa a pugni con un’insoddisfazione d’animo creata dalla carenza affettiva emersa: “aveva 3 monete d’oro finto, forse per questo non sorrise, forse per questo non disse ho vinto.” Adriana è stata “12 anni senza ritornare”. Il ritorno ovviamente è metaforico perché la donna riemerge solo nei pensieri. La canzone nel finale si allaccia ad una nuova e più fresca versione di “Luci a San Siro”, quasi a formare un’unica traccia, come in un connubio di momenti e sensazioni del Vecchioni ragazzo, nella rimembranza di quell’amore antico. “Come salvarsi la vita” chiude la prima parte del disco. Il brano è il primo breve intramezzo con strane allusioni a qualcosa di vigliacchesco e furbo. La seconda parte del disco riprende la disavventura giudiziaria, con l’immaginaria “Lettera da Marsala” scritta “ad un ipotesi di donna” dal carcere in cui Roberto si trova rinchiuso quell’estate. Si ricongiunge nella sua interiorità quel senso di smarrimento e solitudine già percepito in “Mi manchi”. Le atmosfere sono simili, così anche la semplice e delicata struttura sonora.

Con “Robinson”, si torna musicalmente ad alti livelli, e prende corpo l’uso dei temi del sogno e del doppio, molto cari al cantautore. Emerge il bambino dentro ognuno, che con spirito d’avventura sogna innocentemente di imitare il naufrago. Il bambino poi matura e “ora chiude a chiave la sua roba per difenderla, ha il fucile nella mano e dallo specchio gli sorride Robinson.” L’avventuriero inglese entra definitivamente nell’io. “Robinson” rappresenta anche la raffigurazione dell‘emblema che racchiude le debolezze e i pregi della sobria società inglese medio borghese alle prese con l’isola. Ne “Lo stregone e il giocatore” a due anni da “Samarcanda”, Vecchioni dipinge un altro ritratto sul tema della “nera signora”. Una beguine più lenta e tranquilla fa da sfondo alla storia di un anziano mago che gioca con la Morte e comprende l’amore per la vita, dopo averla spesa in sortilegi ed incantesimi, tanto da chiederle un altro po’ di tempo per consegnarle egoisticamente quella del figlio. Con il secondo intermezzo “Allonsanfant” si completa ciò che inizia nel primo e si delinea finalmente il messaggio tratto dal film dei fratelli Taviani intitolato proprio “Allonsanfant”, sulla storia del rivoluzionario ottocentesco Fulvio Imbriani che tradisce la causa ed i compagni, per ingordigia di denaro e per salvar la pelle. Ma Roberto non è sereno e nel finale Irene è la parte mancante del suo equilibrio.

Nell’incalzante “Vorrei” c’è il disperato tentativo di supplica nei confronti della donna che sfugge in continuazione. In questo frangente riappare quel treno che nel brano “L‘ultimo spettacolo” del ‘77 gliela portava via una prima volta: “Si lo so che poi sei ritornata lo so, ma qui dentro io continuo a vederti partìre. Io vorrei fare a pezzi il ricordo di un treno.” Ma ormai non c’è più nulla da fare. Irene si è definitivamente allontanata da lui che rimane irrimediabilmente solo come lo era in carcere, solo come Roland e lo stregone nell’ultimo viaggio, come Imbriani dopo aver tradito tutti, come Robinson sperduto sull’isola.

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