Un film che forse non sa bene quello che vuole, questo. Un tema forte, difficile, però non nuovo. Il regista-sceneggiatore Campillo lo affronta in modo erratico, forse anche un po' ingenuo. Non seleziona molto i materiali, non sceglie un particolare angolatura della visuale, mette tutto in un calderone che rischia di risultare respingente.

Gran parte della pellicola è dedicata ai dibattiti interni al gruppo di Act Up Paris, che non sempre stimolano l'interesse dello spettatore. Per di più, la scrittura del copione non è proprio impeccabile e affronta escursioni stilistiche molto ampie: dal linguaggio stradaiolo dello «scopare» e «prenderlo nel culo» a quello medico, anatomico, con profusione di termini incomprensibili a chi non conosce la materia.

A livello conoscitivo il film non può dirsi particolarmente riuscito. Le questioni macroscopiche sono infatti ormai scontate, mentre quelle più dettagliate non vengono granché approfondite. La sensazione è che si voglia più che altro arrivare ad un giudizio, sommario, per il quale governo, case farmaceutiche e stampa sono colpevoli, mentre i sieropositivi sono vittime, spesso innocenti. Sarà anche vero, ma ci si poteva aspettare qualcosa di più significativo, una lettura meno banale. Per dire, come era stato fatto qualche anno fa con Pride.

E allora la parte migliore e sicuramente la più potente del film è legata alla visione, alla rappresentazione del sesso e della morte. Quando i dialoghi, molte volte superflui, finalmente si tacciono, la potenza delle immagini arriva come un pugno nello stomaco. Gli amplessi sono davvero intensi, febbrili, e restituiscono quella pulsione selvaggia che muove l'erotismo omosessuale dei protagonisti. Ancor più lancinante è lo sguardo che viene gettato sulla malattia, sul lento spegnersi della vita in un ragazzo che ha sempre fatto della vitalità la sua cifra esistenziale.

In questi passaggi il film deflagra, ti inchioda alla poltrona con il nodo alla gola. Per il resto, credo la scelta di seguire le assemblee di Act up, con le tante diverse questioni e innumerevoli storie personali, non abbia giovato alla specificità del discorso politico sotteso dal film. Diventa un po' una battaglia scontata e telefonata, soprattutto nel 2017. Quando si narrano certe lotte di civiltà bisogna avere la lucidità di non scadere nel pistolotto retorico, soprattutto se su questioni ormai condivise dalla maggioranza delle persone.

Invece evidentemente Campillo ha voluto mantenere la connotazione politica, probabilmente perché ritiene che la battaglia non sia ancora stata vinta. Se pensiamo alla contraccezione e alla chiesa, beh allora possiamo convenire, ma per il resto mi pare che le cose siano cambiate in meglio. Ci voleva allora maggior lucidità nel mettere un diaframma tra i fatti narrati e l'io registico narrante, dando un taglio meno enfatico e più obliquo. Perché il cinema è prima di tutto un fatto estetico e conoscitivo, per quanto possa essere anche un grimaldello politico.

6.5/10

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