Grazie al cielo nella nostra carriera di ascoltatori non sono mancati gli incontri con musicisti lunatici e irregolari, gente capace di dare il meglio di se stessi percorrendo la sottile linea rossa tra lo studio di registrazione e l'ambulatorio psichiatrico. Come dei Cappellai Matti capitati per caso in un quadro di Hyeronimus Bosch, tra strane figure mezze umane e mezze animali, per mostrare al codazzo di visitatori le proprie meraviglie racchiuse in un pezzo di vinile nero. Così le migliori opere di Skip Spence, Syd Barrett, Roy Harper, sono nate quando si pensava che i loro autori fossero ormai inservibili alla causa della musica rock. Collegare Robyn Hitchcock, titolare ad inizi anni ottanta dell'accattivante pop elettrico dei Soft Boys, con questi lebbrosi incappucciati è un'operazione assai virtuosa. Lui non ha dato mai di matto, non ha tentato di massacrare a martellate il resto del gruppo o di salire nudo sull'autobus, ma ha sempre difeso la sua libertà creativa da quando disse addio ai (per lui) mediocri Soft Boys e ai brufolosi ascoltatori della solita birreria.
Hitch, che era sempre stato elettrico, nel 1984 raduna i suoi fantasmi personali (Lennon, Barrett, McGuinn, Dylan, Ray Davies) e li sparpaglia acusticamente nella mezza dozzina di personalità diverse che abitavano la sua mente depressa dall'insuccesso dei primi due dischi da solista. L'isolamento in un cottage nel Sussex porta a sentire gli insetti ronzare nella testa e a volerli catturare dapprima con retini fatti di notturni pianistici chopiniani ("Nocturne", "Flavour of Night"), poi con zucchero filato sparso su ballate barrettianamente acide ("Cathedral", "Winter Love", "Trams of London") oppure bizzarre trappole vocali a cappella ("Uncorrected Personality Traits", "Furry Green Atom Blown"). La pazienza messa a dura prova con un'insistente caccia a colpi di martello percussivo di corde basse della chitarra (la spudoratamente raydavesiana "Sounds Great When You're Dead" e il country stonato alla Skip Spence di "The Bones in The Ground" ) fino a provare le maniere più energiche con le scariche adrenaliniche di "Sometimes I Wish I Was a Pretty Girl" e i robusti accordi di piano di "This Could Be The Day".
Giacché è tutto inutile e gli insetti sono ancora là a ronzare, prima di crollare nell'inferno dei nervi meglio tentare di catturarli tessendo ragnatele nei meandri della mente con ballate sospese tra la purissima luce di "I Used to Say I Love You" e il mantrico crepuscolo di "Autumn is Your Last Chance". Sapete che questo è stato il metodo preferito da Syd Barrett, ma lui non è più tornato tra noi. Robyn Hitchcock invece sì, e con gli Egyptians negli anni successivi uscirà dal quadro di Bosch allargando i suoi colori con pennellate elettriche di assoluto valore.
Ma questo rimane un disco lunatico e sgangherato che chiede di stabilire una complicità più che un semplice ascolto: un uomo solo e pochi strumenti per tappezzarci il cuore con foglie ingiallite.
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