Continuo la mia serie di recensioni al femminile con un personaggio decisamente interessante: Robyn, svedese di Stoccolma, con una storia alle spalle che per molti aspetti ricalca quella di Melanie C; come la collega britannica, anche lei è un "prodotto di laboratorio", se così vogliamo definirla, che ad certo punto ha avuto l'intraprendenza e la capacità di inziare un percorso autonomo. La sua carriera inizia alla verdissima età di sedici anni, precisamente nel 1995: Svezia, anni '90, la prima cosa che viene in mente è l'esplosione del fenomeno eurodance, in quel periodo di gran moda un po' in tutto il continente, di cui il paese scandinavo è senza dubbio il maggior esportatore. Con ogni probabilità, la filiale locale della BMG vedeva in Robyn la perfetta teen-idol nazionale, una sorta di Britney Spears svedese con due anni di anticipo; dopo l'album d'esordio arriva una prima partecipazione all'Eurovision, per qualche anno la sua carriera sembra viaggiare tranquillamente su binari prestabiliti, ma ad un certo punto Robyn dice basta. Esattamente come Melanie C anche lei lascia la major che l'aveva lanciata e pilotata per fondare la sua label personale (Konichwa Records), prendendo il timone del suo percorso artistico.

Da allora ne è passato di tempo, e Robyn è riuscita laddove anche la sua illustrissima connazionale Agnetha Faltskog aveva fallito: si è costruita un propria carriera su basi solide, un'immagine sobria, grintosa e sbarazzina quanto basta ed una proposta credibile e personale, basata su un'elettro-pop piuttosto "club-oriented" abbastanza raffinato e creativo da risaltare senza problemi rispetto ad un mainstream generalmente appiattito e mediocre nel migliore dei casi. "With Every Heartbeat", il singolo che segna l'inizio di questa "seconda vita" si è fatto notare anche nelle noiose ed irricettive hit-parades di casa nostra, ma anzichè cavalcare l'onda Robyn ha centellinato accuratamente le sue uscite discografiche, tanto che per trovare una conferma della qualità dimostrate con l'omonimo album del 2005 bisogna aspettare ben cinque anni. Con con il progetto "Body Talk" la biondina svedese dimostra ancora una volta di avere ambizione, un'ampia visione e capacità di evolversi e di sperimentare; non si spaventa di fare le cose in grande, intraprendendo un'operazione abbastanza inusuale e potenzialmente rischiosa dal punto di vista commerciale. Nel giro di pochi mesi pubblica due brevi album (otto canzoni per ciascuno) dalle sonorità simili ma non del tutto analoghe, "Pt. 2" è un passabile mix dance/electropop di gusto vagamente americaneggiante, "impreziosito" da un poco convincente featuring con Snoop Dogg, e non c'è poi molto altro da dire in proposito, a differenza della sua pregevole ed interessante controparte "Body Talk Pt.1".

Il primo e più fortunato capitolo del progetto "Body Talk" è un album molto più svedese rispetto al successore: meno standardizzato, molto più creativo, più coraggioso, più vivace, più bello in tutto e per tutto. Otto canzoni che riservano tante piccole sorprese, atmosfere varie e creative accomunate da un mood generale di grande leggerezza e disimpegno, un po' moderno e un po' retrò. "Body Talk Pt. 1", complice anche la durata limitata (tutt'altro che un difetto) si rivela un ascolto molto avvincente, impreziosito da episodi accattivanti e mai banali come la techno ipnotica e minimale di "Don't XXXXXXX Tell Me What To Do" o "Fembot", più leggera e vezzosa, simpaticamente robotica/simil-rappata, o anche la ritmica brillante, entusiasta e sbarazzina di "Cry When You Get Older" e le piacevoli inflessioni ska di "Dancehall Queen", il tutto senza disdegnare la verve electroclash di "Dancing On My Own" o "None Of Dem" con la sua base trip-hoppeggiante curata dagli amici Royksopp, con cui Robyn ha recentemente intrapreso un progetto comune.

Album vivace, colorato e allegro, "Body Talk Pt. 1" si chiude a sorpresa con "Jag Vet En Dejlig Rosa", brano tradizionale svedese con la voce di Robyn accompagnata da un carillon; un epilogo inaspettato, lento e d'atmosfera, che nonostante il contrasto con il resto della proposta sottolinea la versatilità e le ottime qualità interpretative dell'artista svedese che, con stile e competenza e affidandosi alle persone giuste, si sta costruendo una propria dimensione, quasi cult, portando avanti a modo suo l'eredità di Cyndi Lauper più ancora che degli ABBA. Questo è il pop che mi piace, quello non urlato, senza arroganza ma con tanto carattere, e che soprattutto non rinuncia ad essere sè stesso. 

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