Curiosa abitudine quella presente nel cinema di qualche decennio fa: realizzare e distribuire i cosiddetti film a episodi. Capitavano pellicole articolate in singoli capitoli diretti anche da registi differenti e questa caratteristica non sempre garantiva un buon risultato complessivo . "Tre passi nel delirio" ne è un esempio esplicativo, pur schierando un tris di registi di grande richiamo per l'epoca (1968 ) come Roger Vadim, Louis Malle e Federico Fellini che prendono spunto da tre racconti a firma di Edgar Allan Poe , maestro del genere letterario fantastico .
Si inizia con l'episodio intitolato "Metzengerstein" che segue le bravate di una feudataria (la bella Jane Fonda) dissoluta e sfrontata, una specie di Barbarella medievale . Artefice di azioni riprovevoli dettate dal tedio, un giorno scopre di essersi invaghita di un cugino altero e distaccato. Vistasi rifiutata , si vendichera' causandone la morte e per questo ne pagherà un caro prezzo. Qui siamo alle solite con un regista come Roger Vadim : stile patinato e tirato a lucido, con tanto di cinepresa incollata all'attrice protagonista di grande bellezza (un tempo la giovane Brigitte Bardot, ora l'allora affascinante Jane Fonda ), ma senza riuscire a creare un intreccio completamente avvincente. Insomma un regista dallo stile molto estetizzante ma superficiale .
Va un po' meglio con il secondo episodio dal titolo "William Wilson ". Louis Malle, che lo dirige diligentemente, ci mostra un ufficiale austriaco cinico e privo di scrupoli (impersonato da un efficace Alain Delon) sempre in procinto di commettere misfatti se non fosse per l'irruzione in scena di un suo sosia o alter ego che riesce a mandarne a monte i turpi propositi . E quando dovrà rivalersi su una bella dama (indimenticabile Brigitte Bardot...) frodata nel gioco delle carte, l'intervento provvidenziale dell'alter ego scatenerà un duello mortale fra i due William Wilson dall' esito inaspettato (verrebbe da dire "chi di spada ferisce, di spada perisce" ..) .
Fortunatamente il terzo episodio è "Toby Dammit" e Federico Fellini si conferma autore di grande valore e a suo agio nel trattare aspetti fantastici della vita reale (l'intreccio riecheggia vagamente un film un po' dimenticato come "Operazione paura" di Mario Bava) . Il protagonista è un attore inglese (Terence Stamp per l'esattezza ) molto celebre per i suoi ruoli nei drammi di Shakespeare e dall'aria persa fra fumi dell'alcool e vagamente vampiresca. È convocato a Roma (insolitamente abbagliante e cupa al tramonto sotto certi cieli di color arancione intenso) per recitare in quello che dovrebbe essere il primo western di ispirazione cattolica, dallo stile a metà fra Pasolini e Dryer, con richiami al classico John Ford (intento originale indubbiamente.. .) . Da qui viene coinvolto in un caravanserraglio di impegni pubblici (intervista televisiva, premiazione a vari esponenti del demi monde cinematografico sapientemente tratteggiati e presi di mira con stile visionario da Fellini) che lo vedono sempre più confuso ed annoiato. E ' evidente che l' attore inglese è come un pesce fuor d'acqua, interessato a ricevere in dono una fiammante Ferrari ma anche tormentato da strani ed inquietanti presagi (ogni tanto intravede un'enigmatica bimba bionda che accenna ad invitarlo a giocare a palla..). Si illudera' di trovare una via di fuga salendo a bordo della Ferrari, vagando per vie sconosciute di Roma che possono condurre ad un esito tragico.. Ecco quindi, grazie a Fellini , una resa memorabile all'altezza del compito, ovvero creare un'atmosfera fantastica in grado di tenere in tensione lo spettatore, curioso di vedere quale piega prenderà la vicenda . E almeno si potrà dire che il contributo felliniano vale la visione di questo film (non proprio meritevole del massimo dei voti a causa degli altri episodi giusto sufficienti) , da recuperare comunque per qualche serata di questa estate calda per provare qualche sano brivido che possa spezzare la noia quotidiana.
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