Non c'è un perché razionale quando ci si innamora. Non c'è una valutazione dei pregi e dei difetti di una persona, dei pro e dei contro. Qualcosa accade. E - come mi raccontava una tizia - ci si guarda e ci sono come le stelline che luccicano negli occhi di quella persona. Che a sua volta vede le stelline nei tuoi occhi.

Questo vale anche per i film, e per i personaggi dei film. Te ne innamori. E Barbarella, regia di Roger Vadim, non è certo un capolavoro. Non è poesia, è solo la trasposizione di un fumetto ambientato in un futuro molto lontano e improbabile in cui si svolge la solita lotta fra bene e male. Il film stesso è un fumettone pop, molto sixties (d'altra parte è del 1968). E devo anche dire che da un certo punto in poi, perde di ritmo, ed è anche un pochino noioso.

Lei, Jane Fonda al suo massimo fulgore, è bellissima e i titoli di testa con la musica di Bob Crewe sono il più simpatico spogliarello che io mi possa ricordare.

Barbararella, poi, non è che faccia cose particolarmente edificanti. Tipo accetta di fare l'amore con chiunque glielo chieda, anche per avere in cambio informazioni che la aiutino nella ricerca dello scienziato pazzo e cattivo Durand Durand (Milo O'Shea).

Dildano (David Hemmings) è proprio scemino nel suo volere provare a fare l'amore con lei utilizzando una moderna pillolina che prevede che il rapporto si consumi mettendosi mano contro mano anziché nel modo tradizionale (eh, mica voleva farlo come i selvaggi del pianeta Sogo, era una occasione che aspettava da una vita!), modo quest'ultimo che Barbarella aveva appena scoperto con un pelosissimo Ugo Tognazzi.

Pygar (John Phillip Law), l'angelo cieco, ovviamente seminudo, che non sapeva più volare, e che in una certa scena sembra quasi San Sebastiano poco prima del martirio, non è un personaggio per il quale perdersi, neppure quando riacquista le sue capacità aviatorie. E' piuttosto inespressivo, ma d'altra parte che espressione può mai avere un angelo cieco?

Anita Pallemberg, la regina nera, è una strafiga (e un paio di Stones lo sapevano bene). Vuole sedurre la protagonista ma probabilmente sbaglia l'approccio.

Tuttavia lei, Barbarella, mi ha catturato. Fin da quei titoli di testa. E poi quando finisce nella excessive machine con la quale Durand Durand vuole torturarla ed ucciderla di piacere. Che qualsiasi persona moriva con quella tortura, non potendo sopportare con il proprio carico di inibizioni un simile trattamento. Ma lei distrugge la macchina perché vive questa cosa come una esperienza, non rifiuta, esplora. E vince.

O quando, inizialmente appare esterrefatta dalla richiesta di Tognazzi - che interpreta uno strano tizio piuttosto selvaggio che vive solitario nei ghiacci - di fare l'amore alla maniera antica (quella cosa così poco...ortodossa quando anni di progresso avevano condotto la ricerca alla scoperta della pillolina per la sincrovoluttà che garantiva risultati che il modo tradizionale mica assicurava!): lei però esperimenta, ricredendosi completamente (basta vedere come canticchia dopo, distesa fra le pellicce!).

Oppure quando, per mimetizzarsi fra i cattivi, assaggia l'essenza di maschio: un enorme narghilé dove nel liquido del vaso trasparente c'è un giovane ragazzo seminudo che fa esercizi di acquaticità

Non l'uomo in ammollo Franco Cerri, circa di quegli stessi anni. Questo non ha camicia e cravatta, non ha macchie da lavare. Sarà questo che fa la differenza? Lei aspira e sembra trovare questa cosa interessante. Ma non si lascia prendere, è solo curiosa di tutto.

Curiosa e, nella sua curiosità, pulita, non morbosa. Non perversa. Per me è una vera eroina.

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