Io parlo con gli spiriti: non si sarebbe potuto scegliere un nome migliore per tuffarsi nel colorato, visionario, sognante, ipnotico mondo di Roland Kirk, uomo dalle innumerevoli sfumature di talento, ai più rimasto totalmente sconosciuto, avvolto da una fitta coltre di mistero e purtroppo di scarsa notorietà. Eppure, al secolo, il virtuoso fiatista e jazzista di colore era apprezzato in circoli jazzistici importanti, ed è ora apprezzato come una delle pietre miliari fra i fiatasti jazz, rivalutato in gran parte soltanto dopo la sua scomparsa.

In questo disco, ove Kirk suona prevalentemente il flauto a scapito del sax, si respira un'atmosfera eterea, sognante, ma anche ricca di sonorità interessanti ed esperimenti sonori. L'importanza di questo disco (datato 1964) è sicuramente più percettibile e diretta verso chi è fan dei Jethro Tull, poiché l'influenza che ha avuto su questi ultimi è stata a dir poco enorme. "Grazie a 'I Talk With The Spirits' di Roland Kirk ho iniziato a suonare il flauto" affermerà Ian Anderson, il guru di tutti i flautisti moderni. E ascoltando questo disco in effetti non ci si stupisce di certo che dica così: Anderson ha in molti casi deliberatamente scopiazzato tecniche flautistiche (la voce nel flauto, la quantità esagerata di fiato soffiata nello strumento, il modo di suonare aggressivo, la maniera particolare di creare melodie percuotendo a vuoto i tasti senza soffiare, ad esempio) ed anche lo stile dei primissimi Jethro Tull (all'epoca quando ancora si chiamavano The Blades, poi The John Evan Band, poi The John Evan Smash e quindi Candy Coloured Rain) sono ispirati sempre a lui, il grande Roland Kirk.

Apre l'album a questo proposito Serenade To A Cuckoo, poi divenuta realmente famosa grazie all'album This Was, ove Ian Anderson coverizza questo pezzo con i Jethro Tull. Sostanzialmente un buon pezzo di flauto jazz, con un magnifico intermezzo di pianoforte, e di grande importanza storica. La linea melodica di flauto traverso che regge il brano è molto originale perché ricorda davvero il canto del cuculo. Segue il dolce medley Well'Be Together Again/People, la prima una cover di un brano scritto da Carl Fisher insieme al famoso cantante italo-americano Frankie Laine, la seconda una cover di un brano scritto dai compositori Bob Merrill e Jule Styne. Buon jazz dai ritmi variegati in A Quote From Clifford Brown, che chiaramente si rifà a all'artista nel titolo nel brano. Qua e là qualche colpo di genio, come il pezzo Trees, una tranquilla passeggiata fra gli alberi dell'Ohio. Fugue'n Alludin' introduce a The Business Ain't Nothin' But The Blues, per poi passare alla title-track e a Ruined Castles, ed infine a Django, tre calmissimi pezzi d'atmosfera davvero raffinati e delicati. My Ship è un'altra cover, presa da Lady In The Dark di Ira Gerschwin e Kurt Weill.

Nel 1977, Roland Kirk muore di ictus a soli 41 anni. Se ne va quasi in sordina. La sua eredità in termini musicali sarà enorme: più di tutti Anderson, certo, ma indubbiamente anche altri flautisti come Thijs van Leer (Focus) e Jeremy Steig saranno in seguito molto influenzati; vi saranno sassofonisti come Dave Heckstall-Smith (Colosseum), David Jackson (Van der Graaf Generator), Jeff Coffin (Bela Fleck and the Flecktones), Dana Colley (Morphine), Davey Payne (Ian Dury And The Blockheads), e Courtney Pine che suoneranno più sassofoni simultaneamente, proprio come faceva Roland Kirk; per non parlare dei vari jazzisti che ancora ricordano con affetto il buon vecchio Roland. Un innovatore Kirk, ma pur sempre a modo suo, con quella sua particolare aura velata, in un magico mondo fatto di castelli in aria e di sogni di spiriti, come questo ottimo disco dimostra.

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