Condannato il 26 settembre del 2009 per violenza sessuale su una minorenne avvenuta nel 1978, il regista polacco ha sempre fatto parlare di se, nel bene e nel male. Di lui si sono dette tante cose: c'è chi lo ha definito come un regista sopravvalutato, chi lo considera come una vera e propria istituzione del cinema mondiale, chi lo snobba a prescindere, chi lo elogia per qualsiasi sua opera. Certamente i suoi massimi lavori sono quelli della prima parte della sua carriera che ha visto film del calibro di "Rosemary's baby", "L'inquilino del terzo piano" e anche la bellissima riproposizione "Tess", tratta dello stupendo romanzo "Tess dei d'Ubervilles" dell'inglese Thomas Hardy. In questo periodo prolifico e decisamente redditizio per Polanski venne pensato, diretto e prodotto un altro straordinario esempio di cinema. "Chinatown" è diventato uno dei film più idolatrati dai critici americani, tanto da essere considerato come il diciannovesimo miglior film americano di ogni tempo.
L'intento di Polanski era quello di rendere omaggio ai grandi film gialli degli anni 40/50 con la loro placida atmosfera, il lento sviluppo della trama. Chinatown ricalca questi schemi e la straordinaria fotografia di John Alonzo ci riporta indietro proprio in quegli anni, tra il legno degli uffici investigativi, l'acre odore del tabacco, tra i colori ingialliti degli abiti. E' questo lo scenario in cui vive e lavora Jake Gittes (Jake Nicholson) che assunto per un caso di infedeltà, rimane suo malgrado coinvolto in una serie di omicidi ed eventi direttamente collegati alla politica e alla corruzione.
L'impalcatura narrativa di "Chinatown" è quella tipica dei film noir precedenti: la presenza di due protagonisti, uno maschile e uno femminile. L'uno che indaga e l'altra che essendo la bella del film arriva ad avere qualche tipo di relazione con il corrispondente maschile. Inoltre la complicata vicenda unita alla regia di Polanski, alle musiche di Jerry Goldsmith e alle straordinarie interpretazioni di Nicholson e della splendida Faye Dunaway, contribuiscono a rendere Chinatown un grande esempio di cinema anni quaranta negli anni settanta.
Un film curato in ogni minimo particolare che delizia per ironia e affascina per mistero. E' impossibile rimanere indefferenti davanti all'atmosfera ricreata in questo film, impossibile non rimanere affascinati dal solito ghigno sul viso di Nicholson, questa volta con il suo grande cerotto sul naso. Tutto contribuisce a renderlo un capolavoro assoluto, compresa la sensualità struggente della Dunaway, che al pari di Jack Nicholson dona un'interpretazione che è rimasta negli annali della storia del cinema.
Un film in cui Polanski riversa la dualistica condizione umana: molti aristocratici e politici nelle loro grandi case ammodernate, molti personaggi della stessa Chinatown, infima realtà rispetto alle ville dei "grandi". E' proprio Chinatown il luogo del Male, inteso in tutta la sua essenza. Il luogo dove tutto torna, dove la storia si conclude. E' la place perfetta per la fine della vicenda e non poteva essere altrimenti.
Chinatown, oltre ad essere un film prettamente giallo è anche un dramma comune a tutte le persone: sono sempre i "cattivi" ad avere il meglio, con la loro meschinità e stupidità. Il dramma di tutti a cui si contrappone la figura ironica e a tratti insicura dell'investigatore Gittes. Interessante inoltre il ruolo che Polanski ha attribuito all'acqua, che in Chinatown diventa archè, principio primo di tutti gli eventi successivi, collegata in qualche modo a essi.
Un capolavoro del cinema. Un gomitolo narrativo che si dipana lentamente tra noir, giallo, poliziesco, dramma, comicità e si evolve in maniera tragicamente sublime nell'ultima memorabile sequenza.
Premio oscar nel 1975 per la miglior sceneggiatura originale.
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