Non una beautiful mind; una wonderful mind. Non ci sono altre parole per descrivere la mente di uno dei più grandi matematici del XX secolo. Solo cinque articoli in carriera, di cui tre rivoluzionari nei tre campi toccati dalla sua immaginazione: la teoria dei giochi, la geometria differenziale e l’analisi delle equazioni differenziali alle derivate parziali. Ora, se entri in un certo settore della matematica e, in due anni, lo rigiri da capo a fondo, significa solo due cose: o che sei un extraterrestre con conoscenze che a noi mancano, oppure che la natura è stata molto generosa con te quando ti ha creato.
Ma la gloria immortale ha sempre un prezzo. Gli sforzi tremendi per raggiungere tali vette furono, secondo alcuni psicologi, l’origine della degenerazione mentale di John Nash nella schizofrenia. Banalmente parlando, gli sforzi inauditi nell’astrazione compiuti dalla sua mente lo portarono a vivere stabilmente in una sorta di dimensione superiore, diversa da quella terrena. In questa dimensione superiore si hanno alcune intuizioni che permettono di scrivere pagine immortali nell’arte e nella scienza, ma si trovano anche i cosiddetti “pensieri deliranti”, ossia intuizioni che, a lungo andare, si rivelano solo sciocchezze, ma che, nell’attimo in cui si subiscono, ti sconvolgono: pensieri di suicidio, assurde paure di essere ucciso, pensiero di essere deriso dai tuoi simili e così via.Da questa dimensione superiore non è umanamente possibile ritornare a quella reale se non con l’aiuto degli psicofarmaci. La grandezza di Nash è che lui riuscì a unire i farmaci ad una volontà ancora più straordinaria della sua mente. Ed è di questo che parla questa sublime opera di Ron Howard, con l’altrettanto sublime interpretazione di Russell Crowe.
L’apertura del film è affidata ad una stanza della Princeton University, il tempio della matematica mondiale. Siamo alla fine degli anni 40 e a Princeton arrivano le migliori menti matematiche del mondo. John Forbes Nash è una di queste. È affamato di problemi difficili il giovane John, problemi intrattabili, da risolvere per mostrare la sua superiorità intellettuale, nel tentativo di nascondere il suo senso di inferiorità sociale, dovuto, secondo alcune biografie (non autorizzate), a degli abusi subiti da bambino. Forse anche per Nash, come per Will Hunting del film “Genio Ribelle”, la matematica fu il dolce rifugio per non pensare agli orrori che aveva avuto la sfortuna di incontrare nella sua strada.
L’ambizione di Nash e sfrenata e il suo amico-nemico Martin (Josh Lucas) ama pungolarlo:
“Quello che stai facendo sono solo banali sciocchezze” – gli dice John.
“Va bene, John. Forse hai ragione. Ma tu cosa stai facendo? Come reagiresti se tu perdessi?”. – risponde Martin.
Ma all’inizio John non perde. Stravince. Con un’intuizione straordinaria rivoluziona la teoria dei giochi. Anche Martin si congratula con lui e i due brindano insieme.
Dopo la teoria dei giochi è il momento della geometria differenziale, con il famoso teorema di “immersione delle varietà” (appena accennato nel film, anche se si tratta della risoluzione di un problema che anche il grande Bernard Riemann – proprio quello della famosa congettura sui numeri primi – non riuscì a risolvere, e questo vi fa capire bene chi è stato il matematico John Nash).
Il primo smacco arriva con la mancata vittoria della Fields Medal, il premio Nobel per la matematica (anche questo solo accennata nel film).
Nel frattempo, John è diventato professore. Eccentrico, eccessivo, menefreghista, con atteggiamenti di superiorità. È incapace di empatia, ma Alicia (Jennifer Connelly), una giovane e bella studentessa trova il coraggio di parlargli. Gli mostra la soluzione di un problema posto da lui alla lavagna. John Nash dà un’occhiata e le dice che è sbagliato; elegante ma sbagliato. Lo ha appena guardato. Della matematica sa tutto; di come si trattano le donne nulla di nulla.
I due si sposano. Per Alicia sarà un inferno che sopporterà con costanza eroica. Alla fine del film le vere lodi saranno tutte per lei.
In un doloroso silenzio, la devota compagna osserva il suo uomo cadere nella schizofrenia. La mente di John diventa un vulcano in eruzione: complottismo paranoide, ricerca di assurde coincidenze e amici immaginari poco raccomandabili (Steve Harris).
Si passa dall’elettroschock (una pratica criminale che lo devasta definitivamente) fino ai più ragionevoli psicofarmaci che riescono a calmare la sua mente senza freni. Un giorno, calmato dai farmaci, John pone ad Alicia una domanda che testimonia la sua incapacità di prendere atto della realtà e viverla senza troppi ragionamenti: “Cosa fa la gente?”. Alicia, col suo buon senso, risponde: “E’ la vita, John”. Ci sono cose che si capiscono, nella loro bellezza, solo se vivono. Prima vivere, e poi capire; non il contrario.
Gli psicofarmaci sono utili a calmarlo, ma gli impediscono di librarsi nei prati dell’astrazione matematica e di “rispondere all’amore” della sua Alicia. John smette segretamente di prenderli e allora ritornano le allucinazioni. Ma questa volta qualcosa cambia. Un giorno la mente di John comprende l’impossibile: un’allucinazione che gli fa compagnia da tempo (una bambina) non può essere vera. Solo una mente come la sua può avere una intuizione (davvero suprema) come questa, la più importante della sua intera vita.
John è felice, ma il suo medico – un brav’uomo che gli vuole sinceramente bene – gli dice che queste luci sono miracolose e forse non capiteranno mai più:
“Perché no?! Perché no”?!” – urla John.
“Perché il problema è proprio nella tua testa” – risponde il suo medico.
Una mente (geniale) ma accecata è solo una mente accecata con lampi di genio. E, purtroppo, i lampi di genio sono solo lampi: intermittenti e fuori dal nostro controllo. Senza gli psicofarmaci non ci sarà pace per lui. John, allora, decide di essere ragionevole e torna a prendere i farmaci ma li unirà ad un sincero sforzo di non indulgere più nei pensieri deliranti. Non sarà un pigro assuntore di psicofarmaci. In questa sinergia di chimica e volontà sta il segreto del suo miracoloso risveglio.
Con la volontà di nuovo in funzione, il nostro eroe torna dal suo amico Martin che lo accoglie spaventato. Siamo a metà degli anni 80 (anche se nel film non è detto). Sono passati decenni da quando John trasformava in oro tutto quello che toccava in matematica. Ora le voci giunte alle orecchie di Martin dicono che John è solo un pazzo furioso. Che combinerà?
Invece le parole di John sembrano quelle di un saggio:
“Alla fine, sembra abbia vinto tu Martin”.
Martin ricorda subito il discorso di trent’anni prima e risponde:
“No. Non vince nessuno John. Siamo sempre stati amici”.
John ha un’improvvisa allucinazione ma Martin, da vero amico, non ci fa caso e, da vero amico, dà a John la possibilità di frequentare la biblioteca dell’università di Princeton.
Un giorno uno studente più coraggioso degli altri, sapendo che quell’uomo strano che scrive sulle finestre, è un mito vivente, gli si avvicina. Crede di avere a che fare con uno squilibrato e invece quell’uomo è molto più sano di molti suoi professori. Nash, dopo secoli, torna a parlare con qualcuno. Alicia ha aspettato tanto ma la sua attesa è stata ricompensata.
Nash rivela subito il suo talento di animatore e un carisma che affascina molti giovani studenti. Ai suoi giovani amici, John dice una cosa che solo pochi possono comprendere: “La matematica è una forma d’arte”. È proprio così. E lui è stato un grande artista.
Se sappiamo reagire alle difficoltà, la giustizia divina o il fato farà il resto. La giustizia deve riparare all’ingiustizia della medaglia Fields, un premio che John strameritava. A Princeton, un giorno arriva un uomo che gli dice: “Vengo per conto dell’Accademia delle Scienze Svedese. Vorremmo darle il Premio Nobel”. Nash lo osserva fisso con uno sguardo che dice: “Io sono matto, ma questo è matto da legare”. Quest’uomo dice a Nash che le sue intuizioni in teoria dei giochi (risalente al lontano 1950) sono diventate fondamentali nei problemi antitrust, a testimonianza di quanto le sue idee fossero avanti rispetto ai tempi. Ma l’ambasciatore dell’Accademia Svedese è venuto a vedere se Nash è un folle o no. John allora toglie ogni dubbio all’ambasciatore:
“Lei ha paura che io possa saltare sul palco del Premio, vero? Bé, sì, a dire il vero, io sono pazzo. Io vedo e sento cose che non sono reali. Io prendo i farmaci più potenti. Ma ho imparato a controllare la mia mente mediante una specie di dieta di pensieri. Come la gente non assume certi cibi, io non faccio entrare nella mia mente certi pensieri molesti. Ho deciso di ignorarli”.
Esame superato. Il premio sarà suo, e con il premio arriva anche il riconoscimento dei suoi colleghi con la magnifica scena delle penne appoggiate.
Sul palco del Nobel, John non salta in aria, ma ci lascia un'altra perla di saggezza, degna di un grande mistico:
“Ho sempre creduto nei numeri, nelle equazioni e nella logica e nel ragionamento. Dopo una vita vissuta in questi studi, io mi chiedo: cos'è veramente la logica? Chi decide la ragione? La mia ricerca mi ha spinto attraverso la fisica, la metafisica, l’illusione, e poi mi ha riportato indietro. E alla fine ho fatto la più importante scoperta della mia carriera, la più importante scoperta della mia vita. È soltanto nelle misteriose equazioni dell'amore che si può trovare ogni ragione logica. Io sono qui grazie a te [Alicia]. Tu sei la ragione per cui io esisto. Tu sei tutte le mie ragioni”.
La schizofrenia ha permesso a Nash di scoprire il più grande di tutti i teoremi, e cioè che l’amore viene prima della ragione.
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