Antefatto: Mio padre mi ha cresciuto a pane e Formula Uno. La domenica, i miei compagni di scuola aspettavano la partita di pallone ed io, come e con mio padre, aspettavo “la corsa”. Nella mia memoria di bambino si susseguono una serie di campioni e tragedie. Sorpassi, vittorie e leggende. Mio zio, il fratello di mio padre, professore all’Università, sosteneva che fosse uno sport del cazzo, anzi che non fosse proprio uno sport. Una ventina di idioti che correvano in tondo per due ore rischiando per di più di uccidersi. Mio padre, lo capivo, li vedeva come una specie di eroi. Se ne stava lì a guardare queste corse impietrito e concentratissimo. E mi portava anche a vedere i Gran Premi con l’esagerato rumore dei motori turbo, dei motori aspirati, la velocità, la pazzia, l’odore pungente del carburante bruciato sull’asfalto. Tutto per me, e non solo per me, finì il primo maggio 1994 alla Tosa del circuito di Imola, seduto sull’erba scivolosa sotto un sole bianco come un sudario, immerso in un’aria densa, umida e calda come acqua di lago. L’ultima volta che esultai, come tutti gli altri ferraristi lì presenti che tifavano per Berger (!) e Nicola Larini (!!!), fu quando lo speaker annunciò che Senna era uscito di pista lontano dalla nostra vista. Pensavamo potesse vincere finalmente una Ferrari. Poi non esultai più. La fiamma si spense. Ovvio, guardai ancora “le corse”, ma in altra maniera. Basta farsi coinvolgere da questi pazzi. Anzi, con gli anni mi è tornata in mente la frase di mio zio.

Film: Bene, con queste premesse qualche settimana fa leggo di un film su James Hunt e Niki Lauda. Hunt non me lo ricordo se non di nome ma… cazzo! Lauda! Quello si che me lo ricordo. Un bambino piccolo che vede uno senza mezza faccia e con un occhio perennemente sbarrato che corre sulla Ferrari. E si, me lo ricordo. Mi ricordo che a volte partiva male ma arrivava sempre tra i primi, se non primo. E mi ricordo quel ghigno contorto dalle fiamme. Già era serio di suo, ma dopo l’incidente era diventato una maschera con una sola posa. E non era una posa amichevole. La fiamma si risveglia.

Ron Howard non è un genio. Diciamo che, quando ci si mette, è un ottimo artigiano. Il film narra la rivalità tra i due piloti. Meglio racconta diversi modi di vivere e di affrontare lo sport. Chessò, voi tifosi di pallone potreste fare il paragone tra un Rumenigge ed un George Best. Se non conoscete la storia del loro duello non informatevi, non cercate sul web, andate al cinema e godetevelo perché è stato concepito anche come una specie di thriller con scenona finale. Epica, grandiosa, definitiva e storica. Il regista ha costruito il film con molti elementi azzeccati come il vintage della pellicola desaturata e virata in verdino slavato anni ’70 o l’ottima e possente colonna sonora che ci butta addosso fiumi di malinconici presagi e mettiamoci anche la forza sportiva ed umana che permea tutta la storia. Gli attori hanno fatto un gran lavoro con sguardi, frasi, trombate, insulti. Specie Daniel Brühl da Bastardi senza gloria che interpreta Lauda, direi quasi perfetto. Non aspettatevi un capolavoro di sceneggiatura. Il film è semplice, come di solito semplice e banale è la realtà. Ma è anche semplice come può esserlo un treno merci che vi viene incontro sui binari. Non ci sono scene con colori sgargianti, con il sole a palla e con i rossi accesi. Tutto è opaco, sul grigio, sgranato a volte, ma potente. Bellissime e struggenti le monoposto di Formula Uno dell’anno 1976. Quelle Ferrari con la pinna bianca alta e gli alettoni in metallo lucente pronte a devastare le piste di tutto il mondo. Il regista ha girato molte scene dal vero, per quanto possibile e devo ammettere che le poche sequenze realizzate alla computer grafica sono riuscite a non far percepire la differenza con la realtà.

Infine, diomifulmini se esagero (qui rischio e sapete che sto rischiando per voi), quando il regista posiziona la macchina da presa dietro i tubi di scarico della Ferrari o della McLaren alla griglia di partenza ed il motore portato su di giri urla come mille animali a cui stanno strappando gli arti e rulla e batte come mille bisonti in corsa, ci si tiene sul sedile e si gode di quel rumore come bambini davanti ad una luna park. Poi la corsa. Esperienza tosta, trema la sala, balla l’abitacolo ed il pilota e noi con lui. Guizzano, in primo piano, le pupille di Lauda dall'interno del casco, mentre l’acqua spruzzata dalle ruote posteriori dell’autovettura che precede scivolano veloci sulla visiera di plastica. Grande storia vera di sport e, forse, di amicizia, ma soprattutto ed in fondo di due modi di affrontare la vita.

Alla fine di tutto magari un po’ aveva ragione mio padre (e mio zio). Questo è uno sport per eroi (del cazzo).

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