Si può prendere un disco e farsi una marea di seghe mentali. Sui personaggi minori, sul cantautorato (forse) minore, su come il cantautorato (quello minore e quello maggiore) ha retto gli anni '90, sui dischi dove si risuonano e si ricantano vecchio cose. Su questo ed altro ancora. Su Ron. Io sono tipo da seghe mentali (chi mi legge lo sa...) e dunque via, diamoci dentro.
Questo è un disco targato 1996. Ron, cantautore misterioso, è ad uno dei suoi tremila ritorni. Sparisce, scrive per altri, scrive per sé, torna con un disco pubblicizzatissimo e non vende, fa il contrario e vende, fa beneficenza sincera, si fa dedicare un'inspiegabile prima serata rai, poi risparisce, poi rispunta a sanremo e arriva ultimo, poi ci torna e lo vince, poi ci ritorna ancora e non se ne accorge nessuno. Che conclusioni trarre...? Io, nel mio piccolo, cerco sempre di stare ai fatti, che qui si chiamano prodotti, e si chiamano canzoni. E Ron di canzoni ne ha scritte molte, nel passato alcune bellissime. Molti ricordano "Joe Temerario". Molti meno "I Ragazzi Italiani". Tutti conoscono "Piazza Grande". Queste sono grandissime canzoni. Canzoni cantautorali, scritte bene, con un gran "senso della canzone", dell'armonia e dell'alternanza tra strofa, ritornello e incisi vari. Persino alcuni testi, ormai antichi, hanno brillato davvero di luce propria. Poi qualcosa si rompe (com'è successo, più o meno sempre nei '90, anche a tanti altri, Dalla e Daniele su tutti): i testi diventano volutamente (non può che essere altrimenti...) preadolescenziali, le musiche schiettamente "pop" (e non certo detto in senso buono), e le operazioni commerciali ripetitive, inutili, spesso sbagliate.
Questo disco non è però del tutto brutto. Si mette nello stereo e "gira" bene. Dunque il voto non può e non deve essere insufficiente, quando il prodotto si consuma bene. Poi possiamo e dobbiamo fare dei distinguo qualitativi...: vi faccio un paragone vinicolo. Un buon rosso può andar giù che è un piacere, con buona pace e soddisfazione di tutti e tutto: oste, conversazione, commensali, serata in generale. Ma se uno ha un po' di palato e di gusto può spingersi un po' in là, e valutare la lavorazione (ultimamente sovente troppa) la quantità di tempo trascorso in barrique...insomma, gli effetti speciali. E rivedere il proprio voto, magari salvando comunque, come in questo caso, la sufficienza dell'opera compiuta.
Ron ha vinto Sanremo con la canzone che da il titolo al disco. E, lo dico subito, si tratta d'una canzone modestissima, benché sia stata (pare) copiata da una lirica del Bardo per quanto attiene la parte letteraria ed essendo uguale ad altre cento canzoni quella musicale/armonica. La partecipazione della sopravvalutata Tosca non aggiunge nulla al brano, come non aggiunge (ed anzi, a mio avviso, toglie) alla successiva "Anima".
Il resto è una manciata di canzoni risuonate, secondo la triste moda dell'epoca, alcune con arrangiamenti interessanti e realmente nuovi, ed altre sostanzialmente molto simili agli originali. Le pagine più interessanti sono "Al Centro Della Musica", "Il Gigante E La Bambina" e "Per Questa Notte Che Cade Giù", brani già belli all'origine e qui impreziositi da arrangiamenti nuovi, furbi e molto piacevolmente percussivi.
"Attenti Al Lupo", martellamento del Dalla che scollinava, ma composizione del Rosalino, qui prende più senso, trasformata in chiave più rock. Ci si potrebbe persino vedere risvolti "drammatici" e dissacranti, intendendoli come un dissacramento della cretineria dell'efficacissimo reggae dalliano. "Cosa Sarà" diventa un quasi - rap. Interessante ma non nuova (questa versione c'era già su un disco precedente). La cover "Ferite E Lacrime" è opera inutile e mal riuscita, benché certamente ascoltabile, con un testo di banalità pari al tardo Pino Daniele. "Piazza Grande" e "Una Città Per Cantare" sono sempre bellissime, anche se la mancanza dei co-protagonisti delle versioni precedenti si sente. Ben due le versioni della sopravvalutatissima "Non Abbiam Bisogno Di Parole", canzone dalla imbarazzante banalità sia musicale che -per così dire- letteraria, benché baciata da un inspiegabile successo (o forse spiegabilissimo, ma il discorso si farebbe troppo lungo...).
Nella copertina una rosa con un disegno stilizzato, nel retro una foto/ritratto di Ron che guarda pensoso e sorridente (se stesso?). Disco piacevole, ma simbolo dell'inutilità e del tracollo ispirativo dei cantautori negli anni novanta (con le dovute, e rarissime, eccezioni). Tornerà con un paio di dischi di inediti in studio sostanzialmente bruttini, ed altre operazioni di ricantaggio delle solite cose. Mah...
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