E... ora qualcosa di completamente diverso!
Signore e Signori:
Tom Cora, Luc Ex, Phil Minton, Michael Vatcher. Violoncello, basso, voce, batteria.
I Roof.
Ma prima un po' di cronistoria:
Cora, nativo della Virginia, newyorkese d'adozione, violoncellista folle pioniere del violoncello, rumorista genio improvvisatore, compagno di merende di personaggi del calibro di John Zorn e Fred Frith.
Luc Ex, olandese d'Amsterdam, vent'anni a spupazzare le quattro corde nell'ensemble avant-jazz The Ex, svariate collaborazioni all'attivo (fra cui Han Bennink, Sonic Youth e Fugazi, mica cazzi!), nonché titolare dell'etichetta Konkurrent (vera istituzione per quanto riguarda la distribuzione e la divulgazione di musica indipendente) e produttore cinematografico.
Minton, inglese, trasmigrato negli States, trombettista di nascita ma diavolo delle corde vocali per vocazione, autentica e venerata autorità in ambito d'improvvisazione: una vita, la sua, all'insegna dello spernacchiare sul microfono, via via coadiuvato dai vari Peter Brötzmann, Fred Frith, John Butcher, Veryan Weston e mille altri ancora.
Uno che non si perde certo in formalismi, e che nonostante non sia più un giovincello, ancora si diverte a sbavare, sibilare, grugnire, miagolare, smitragliare fonemi, fare versacci e vomitare tutto lo scibile umano (e non!): roba da far venire i capelli verdi a Patton.
Vatcher, infine, californiano poi trasvolato in Olanda, attivo nel mondo del teatro e della danza, anch'egli dedito alla masturbazione sonora più colta, lui che ha scandito non-tempi per Zorn (e con chi non ha lavorato Zorn?), per gli stessi The Ex di Luc Ex e per una miriade di altri artisti che è inutile citare, perché nella grande famiglia dell'avanguardia si è tutti amici, ci s'incontra, ci si vuole bene, è una grande festa, purché non ci si metta a fare un quattro quarti!
Dunque, il primo conosce il secondo, il terzo conosce il primo, il quarto conosce il secondo, e ai quattro viene alla fine in mente di fare qualcosa insieme.
Ma cosa poteva mai scaturirne?
Paolino Paperino incazzato e stizzoso che stritola e sfrega e stropiccia un palloncino nell'intento di scoppiarlo, mentre la Pantera Rosa s'improvvisa lanciatrice di coltelli.
Parlo da ignorante, s'intende, e oltre a dirvi che 'sta roba potrebbe seriamente interessare a chi nutre forti simpatie per gente come Zorn, Mr Bungle, Primus, Dirty Three, Zu, Area e il Robert Wyatt di "The End of an Ear", altro non saprei aggiungere.
Se non che i Roof ebbero vita breve: nati nel 1995, si scioglieranno appena dopo quattro anni di attività in concomitanza con la morte prematura di Cora.
Una cinquantina di concerti e due soli album, "The Untraceable Cigar" (1995) e "Trace" (1999): questo è ciò che si lasciano alle spalle i Roof (tramutatosi in 4Walls dopo che i tre superstiti decideranno di proseguire arruolando il pianista Veryan Weston).
Musicisti diversi, lontani per background culturale e provenienza geografica, ma con il pallino dell'improvvisazione, e questo sembra bastare per far sì che la magia si compia: "The Untraceable Cigar" va così a catturare l'attimo, la gioia della condivisione, il buffo effluvio sonico di quattro artisti che non si pongono altra regola se non quella di sovvertirle tutte.
Si parla di fraseggi spezzati, tempi epilettici, scricchiolii, stridori, sberleffi, collassi, grovigli e tutto quello che ci si può lecitamente aspettare da un'avanguardia fotografata nella sua forma più anarchica, ironica, destabilizzante: l'avanguardia che nasce per gioco e diviene arte.
L'istantanea di un laboratorio in pieno fermento.
L'humour e il non-sense di un'arte che non intende stupire, ma che è il frutto spontaneo ed inevitabile di chi rinnega, ben conoscendola, la grammatica delle armonie.
Ma in questo caso, si badi bene, free non fa necessariamente rima con caos, i quattro sono dei veri signori: a tratti, pensate, azzardano qualcosa di organico, crescono impetuosamente, oppure si lasciano contaminare da quella strana cosa che è la melodia.
E Minton, in "The Prince" (parole del paroliere Paul Haines), si mette perfino a cantare!
Ma proprio nell'equilibrio fra compiuto e decostruzione, eleganza e scherzetti, geometrie e scarabocchi risiede il segreto di questo gioiello, che non gioca solo sulle alternanze, ma anche sulle stratificazioni, facendo leva sul dialogo (de)costruttivo degli strumenti, l'empatia miracolosa e lo spirito genuino e giocoso e bambinesco di un'avanguardia fatta con il cuore.
Per quelli che amano il rock quando si tinge d'avanguardia e vogliono saggiare cosa sia l'avanguardia che preesiste al rock!
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