L'irlandese Rory Gallagher è stato uno dei migliori chitarristi rock-blues di sempre.
La sua arte veniva fuori in tutto il suo splendore soprattutto nelle infuocate performance dal vivo, non a caso il suo disco più famoso, e forse più bello, è il live Irish Tour. Ma a mio avviso sarebbe perlomeno riduttivo liquidarlo semplicemente come un grande live performer perchè di dischi in studio Rory ne ha fatti, ed anche parecchi, molti dei quali ottimi. Fra questi uno dei più riusciti è senza dubbio Calling Card, album del 1976, coprodotto da Rory insieme, all'allora ex, bassista di Deep Purple, Roger Glover. Ad accompagnare il chitarrista vi sono Gerry McAvoy (basso), Lou Martin (tastiere), Rod de'Ath (batteria), stessa band dal 1973.
Calling Card è un disco eccellente, aperto a diversi generi, forse l'album di Rory in cui si può riscontrare la maggior eterogeneità. Si va dall'hard rock, al quale il chitarrista si era pesantemente avvicinato già dal disco precedente, alle ballad, dal folk ad incursioni jazz, ma senza scadere nella banalità e frammentarietà di episodi piuttosto di maniera, e senza mai tradire le radici blues. Chi non conosce questo disco, o in generale non conosce Rory Gallagher, potrebbe pensare che si tratti del classico album con le solite acrobazie chitarristiche, e poco altro, musica bella da suonare, roba da musicisti, ma poco interesante per l'ascoltatore medio. Ed invece no, questi pezzi sono innanzitutto delle belle canzoni, Rory aveva un ottimo songwriting, ed in questo era superiore a tanti altri suoi colleghi. Insomma Calling Card, prima ancora di essere un fulgido esempio di geniale arte chitarristica è un grande disco rock.
Quel che colpisce sin dal primo ascolto è l'ottima produzione, nulla sembra essere lasciato al caso, ed in questo il contributo di Roger Glover è stato fondamentale. Roger e Rory si erano conosciuti anni addietro quando l'irlandese aprì alcuni concerti americani dei Deep Purple. In qualche pezzo infatti, l'influenza del sound Deep Purple è abbastanza evidente, fra questi "Moonchild", nel quale una stuttura ritmica tipicamente hard rock sostiene un cantato ed una linea melodica tendenzialmente malinconici. - Piccola curiosità, quando ho sentito per la prima volta Moonchild mi è subito venuta in mente "Le vent nous portera" famoso singolo dei francesi Noir Desir. Ma non mi va di accusar di plagio i Noir Desir, non penso affatto che ci siano gli estremi per parlar di plagio, mi limito solo ad osservare che in alcuni passaggi gli accordi sono quai identici, poi magari si tratta solo di coincidenze -.
L'album presenta altri episodi duri, come l'iniziale "Do You Read Me" un ottimo mid-tempo hard blues, ma soprattutto "Secret Agent" il pezzo più hard dell'album, che sembra quasi uscito da un disco degli ZZ Top, soprattutto per il riff. Fanno da contraltare pezzi acustici pregevoli come l'ottima ballad "I'll Admit Your Gone" la divertente "Barley And Grape Rag", a metà strada fra l'irish folk ed il Dixieland. La title track è invece una riuscita fusione fra blues e jazz, in cui il piano di Lou Martin duetta splendidamente con la chitarra di Rory, quella Stratocaster consumata dallo sfrenato utilizzo, e con la quale tirava fuori un suono splendido, perfettamente bilanciato, in grado di saltare fra i diversi generi e stili senza mai perdere la propria identità; quel che mi piace di più in questo pezzo è il "tocco" del chitarrista, qualcosa di unico, difficile da spiegare a parole, impossibile da imitare; pochi cazzi, un numero d'alta scuola e di gran classe.
Ma il mio brano preferito resta "Edged In Blue", pura magia. A partire dallo splendido assolo iniziale, è un brivido dietro la schiena che ti prende e non ti lascia più. E qui viene fuori la grande capacità compositiva del musicista, non basta essere un asso della sei-corde per comporre un pezzo così, c'è bisogno di avere la musica nel sangue, nel cuore, non solo nelle dita. Gli altri pezzi non fanno altro che confermare l'ottima forma di Gallagher ed il grande affiatamento fra i membri della band, ed è forse il disco in cui viene più fuori un suono da band, la chitarra resta protagonista, ma gli altri strumenti sono tutt'altro che dei semplici comprimari. Un disco senza punti deboli, persino le due bonus track aggiunte sulla versione cd, "Rue The Day" e "Public Enemy" (qui in nella versione originale, un po' diversa da quella che sarebbe poi comparsa su Top Priority), sono episodi da non sottovalutare.
Concludendo penso si possa affermare senza remore che si tratti di un grandissimo disco nel quale Rory Gallagher è riusito perfettamente nel suo intento di sperimentare nuove strade, senza perdere però contatto col tradizionale rock-blues. Sicuramente il chitarrismo geniale di Rory Gallagher è più evidente ascoltando i suoi live, ma d'altra parte, non si possono ignorare album in studio di così pregevole fattura. A volte parlando di Rory Gallagher si pone l'accento sul fatto che sia sottovalutato. Non so se sia o no sottovalutato, quel che è certo è che è meno conosciuto rispetto a colleghi illustri come Eric Clapton e Stevie Ray Vaughan, e più lo ascolto e più mi chiedo perchè.
Ciao e buon ascolto a tutti, cattivi, buoni, belli e brutti.
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