who will I find

calling out my name

Un uomo, due corpi celesti, un’utopia. Un’utopia, quella del ritrovamento delle origini, che affascina l’uomo moderno e lo tortura da secoli, che fa da specchio alla domanda atavica per eccellenza: “Da dove veniamo?”

C’è chi si illude che la risposta a questa domanda sia un’altra domanda: “dove stiamo andando?”, c’è che si illude che le origini vadano ricercate nello spostarsi, e non nel fermarsi a riflettere. C’è chi sogna, e sognando cerca. Ci sei tu. Chi troverai, chiamando il tuo nome? Chi diventerai, una volta arrivato?

The nomad in roam,

searching on

Una disperata ricerca che porta te, l’archetipo di uomo, fino agli oceani di ghiaccio di una solitaria, fredda luna di Giove, Europa.

Europa, amante di Zeus, etimologicamente “ben irrigata”, il corpo celeste con la maggiore possibilità di ospitare la vita nel sistema solare, solitaria e maestosa. Il tuo unico faro di speranza, tuo redentore e tuo unico dio.

“Departe”, e sei in orbita. Fumo, nebbia, nuvole, e all’improvviso sovviene la chiarezza. Fuori dall’oblò, la terra che si allontana lentamente, la nostra madre rinnegata lasciata solitaria nella sua orbita dal figlio ormai resosi indipendente, disgustato dall’ignavia della filosofia terrestre, ansioso di giungere al futuro tramite il viaggio astronomico.

“Finally I’m coming home”

Totale, definitivo cambio di prospettiva.

Il sole, gigantesca pietra miliare di questo viaggio, illumina di rosso l’interno della cabina, ribollendo e schiumando rabbiosamente, accecandoti di una luce sconosciuta e aliena, abituato come sei a guardarla filtrata dall’atmosfera terrestre.

“The day of red light

marks my way”

Arrivati a questo punto, nulla ti potrà più portare indietro, non ti sarà concesso nessun ripensamento, tutto è solo fato e come tale dovrà caderti addosso e seppellirci sotto la sua mostruosa ala protettiva, positiva o negativa che sia.

“Behind the Isthmus of light, lies Europa”

Il calore del sole, ormai in dispersione, lentamente permette all’astronave, all’involucro umano, di tornare ad uno stato di freddezza. Freddezza che caratterizza la seconda parte del viaggio, freddezza esterna che genera frenesia e ferma i pensieri in una disperata fretta di giungere alla bellezza e di scoprire cosa il fato ha riservato per noi dietro quell’”Isthmus of light”.

La freddezza viene dimenticata, lentamente muore, per ciò che le tue percezioni ti comunicano. Eccola. La vedi in tutto il suo splendore, sfera argentata di perfezione celeste, bellezza delle bellezze: Europa.

“Itinerant”. La più sincera, struggente, commovente dichiarazione d’amore mai pronunciata da essere umano, dedicata al suo stesso futuro.

“Europa,

set my sails,

on your oceans of ice tonight.”

Stanotte.

“Questa notte infinita che avvolge il cosmo in una freddezza innaturale, questa maschera di morte che copre il creato lasciandolo nudo ed esposto al gelo del nulla. Sì, proprio questa notte, questa notte eleverà le nostre anime ad un tutt’uno, questa notte renderà me uomo e te, Europa, donna, ci unirà nella coppia.”

L’accoppiamento, l’unione degli opposti, che qui genera la riflessione, e stimola una nostalgia definitiva e crudele che ti prende il cuore e te lo divora senza pietà, nostalgia di ciò che stavi fuggendo. Ma non è ancora il momento per la nostalgia.

“We put our trust in the faith of man, we walk the trail,

crossing over a bridge,

when we saw the beauty that we could be.”

L’inizio della comprensione, il pensiero che si affaccia e ti guarda negli occhi scrutandoti nell’anima, dicendoti ciò che non vuoi sentire, ciò a cui non puoi credere. La speranza è ancora troppo forte, la speranza è ogni cosa, la speranza è Europa, la speranza sono i fiumi sotterranei ricchi di vita, la speranza sono gli oceani di ghiaccio, la speranza è il freddo che ti gela l’anima, la speranza è il limite estremo, la speranza è la morte.

Europa è qui, davanti a noi, l’oblò si appanna con il nostro fiato. Infinite distese di ghiaccio, infinità planetaria sublimata nel ghiaccio, bellezza profonda incastonata nell’acqua solida.

“I’m wondering,

my time is almost up,

this void is closing around,

my own universe is all in another time,

borrowed time, pay it back,

I miss them all”

Ci siamo, siamo a terra, immersi nel vuoto. E cosa puoi fare, una volta giunto nella tua terra promessa, se non piangere pensando a ciò che hai per sempre perso?

Non è il pianto del bambino lasciato dalla madre all’asilo, e non è il pianto di chi la madre l’ha persa per sempre, è il pianto di chi si è allontanato dalle sue origini, da sè stesso, e ha cercato di sostituirsi da solo accecato dal futuro e dalle sue possibilità. Il pianto di chi è stato artefice del proprio destino e ha deciso di privarsi di ogni suo avere per la brama di possederne ancora.

Lontani ricordi di casa, solitarie note di pianoforte, frammenti di discorsi mai dimenticati, colori e pensieri singoli, privati del tutto.

E poi arriva l’annichilimento totale di ogni tuo passato, lo svuotamento di ogni tuo significato, diviso come sei dalla tua madre, svincolato dal tuo passato, svuotato dell’anima.

“Au Pays Natal”, il fato che ti crolla addosso.

Una lunga riflessione che ti accompagna nella fine. “An orbit gone wrong” Come descrivere meglio questo viaggio all’interno di noi stessi? nulla di più perfetto nella tecnica, nulla di più ideologicamente positivo dell’approdo su una luna a noi sconosciuta, nulla di più comprensibile della ricerca atavica delle nostre origini. E nulla di più sbagliato dell’esito positivo.

“I remember your eyes,

and softness of the skin”

“Madre, come potrai perdonarmi dopo ciò che ti ho fatto? come potrò io fare in modo da farmi perdonare, perso come sono e prossimo alla morte?”

Tutto finisce, tutto muore, tutto si consuma. Questo piccolo scampolo di speranza che se ne va e si spegne nell’immenso freddo, appena una scintilla nel grande cosmo che vive la sua breve parabola di vita e in pochi millesimi di secondo svanisce, per essere ricordata come un fugace movimento dalla coda dell’occhio, e dimenticata pochi secondi dopo.

Shell of man, your dream died today

Shell of man forgotten

Shell of man. Living on borrowed time.”

Guscio di un uomo. Umanità svuotata. Persa la nostra casa, non ci resta che tempo preso in prestito.

Hai bruciato il tuo secondo, shell of a man, e ora sei nulla.

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